domenica 14 ottobre 2012

SCENARI IBERICI DI FINE 2012 IN CATALOGNA E PAESI BASCHI.....

Fonte:BLOG DI GPG IMPERATRICE - RISCHIO CALCOLATO



di  GPG IMPERATRICE



Il 25 Novembre 2012 vi saranno ampie maggioranze parlamentari indipendentiste in Catalogna e Paesi Baschi.

Il 25 Novembre prossimo si votera’ in Catalogna e nei Paesi Baschi ed i sondaggi sono implacabili: nelle 2 comunita’ la maggioranza sara’ delle formazioni indipendentiste o fortemente autonomiste. Senza Catalogna e Paesi Baschi la Spagna e’ Kaputt: queste 2 comunita’ autonome sono le aree piu’ produttive della Spagna, e senza di esse il resto della Spagna finirebbe con l’essere una Grecia in format Gigante.

 Catalogna: la grande manifestazione e la convocazione delle elezioni

L’11 settembre, festività nazionale catalana, oltre un milione di persone ha manifestato a Barcellona con lo slogan “Catalogna, uno Stato d’Europa”: è un avvenimento tra i più rilevanti dell’intera storia di Spagna. Grazie alla legittimazione conferita da questo evento sensazionale, Convergència i Unió (CiU), il partito nazionalista liberal-conservatore che governa la regione, ha chiamato la cittadinanza al voto anticipato (25 novembre). Obiettivo: ottenere la maggioranza assoluta per dirigere al meglio il delicato passaggio politico, che dovrà essere caratterizzato dalla stesura di una carta costituzionale e da un referendum sull’autodeterminazione. Oltre la metà della popolazione, secondo i sondaggi, approva questa road map.

Catalogna: la storia recente
Il malessere catalano, anche se finora non si era mai espresso così massicciamente in favore di un divorzio da Madrid, ha le sue radici in alcuni nodi irrisolti della politica e della stessa struttura territoriale spagnola. Dopo quarant’anni di dittatura franchista ultracentralista, la costituzione del 1978 creò uno “Stato delle autonomie” che riconobbe le diverse identità presenti nel paese, disinnescando le spinte centrifughe.  Secondo il principio del café para todos non solo le regioni storiche (Catalogna, Paese Basco, Galizia e più tardi Andalusia), ma tutte le 17 Comunità autonome in cui è divisa la Spagna godono di estese giurisdizioni, più altre trasferibili in seguito dallo Stato. Ogni Comunità è regolata da uno statuto, che funge un po’ da “costituzione” locale.
Retta sin dalle prime elezioni democratiche (1980) da CiU e dallo storico leader Jordi Puyol, la generalitat (l’amministrazione) della Catalogna è stata capace di conquistare la gestione di materie come la pubblica sicurezza e l’istruzione: attualmente dà lavoro a oltre 200 mila funzionari. CiU ha saputo far valere il suo piccolo peso al parlamento di Madrid, offrendo negli anni pragmatico sostegno a governi dell’uno o dell’altro colore in cambio di risorse, investimenti, trasferimenti di competenze. La rivendicazione indipendentista era esclusiva di un’altra formazione politica, radicale di sinistra: Esquerra republicana de Catalunya.
L‘egemonia di CiU venne rotta nel 2003: poco prima del voto regionale di quell’anno, il segretario del Partito socialista spagnolo (Psoe) José Luis Rodríguez Zapatero si impegnò ad accettare, se fosse stato eletto premier, qualsiasi modifica allo Statuto catalano che il parlamento di Barcellona avesse approvato. I catalani riconoscenti portarono i socialisti al governo della loro regione e li premiarono con una valanga di voti anche l’anno successivo, alle elezioni nazionali. L’estatut de Catalunya fu modificato e la maggioranza socialista a Madrid lo ratificò nel 2006. Il Partido Popular (Pp), principale forza di opposizione, ricorse alla Corte costituzionale contro il nuovo testo. Non solo la Catalogna vi si autodefiniva “nazione”, ma si attribuiva anche il potere giudiziario e il potere legislativo in materia fiscale. L’alta corte, nel 2010, nonostante una maggioranza di membri di nomina socialista, bocciò proprio questi articoli; Zapatero, alle prese con la crisi, non spese una parola per l’estatut. I catalani, infuriati, scesero già allora in piazza a centinaia di migliaia (con lo slogan “siamo una nazione”) e alle successive elezioni punirono i socialisti col peggior risultato di sempre, riportando al governo regionale CiU.


Catalogna: la congiuntura recente e gli ultimissimi sviluppi
La Catalogna non vive un momento felice: la durissima congiuntura spagnola non l’ha risparmiata. Già negli anni passati, era andata perdendo centralità economica, cedendo lo scettro di area più produttiva di Spagna al Paese Basco e a Madrid. Oggi è la Comunità autonoma più indebitata ed è stata costretta a chiedere al governo 5 miliardi per non finire in bancarotta. La disoccupazione è al 22% (leggermente inferiore alla media nazionale) e tra i giovani supera la metà della forza lavoro.
Nel discorso di Mas, colpevole della situazione economica (e quindi indirettamente dei pesantissimi tagli operati dal governo di CiU) e responsabile del debito è il contributo eccessivo versato allo Stato centrale e la scarsità di investimenti pubblici nella regione. Se potessimo gestire da soli il nostro gettito fiscale come i baschi e i navarri – dicono da Barcellona riferendosi a un antico privilegio ancora in vigore – potremmo facilmente risanare il bilancio. I catalani sono d’accordo: secondo i sondaggi, se il regime fiscale fosse modificato rinuncerebbero a pretendere d’indipendenza.
A Madrid, dove nel frattempo è tornato al governo il Pp di Mariano Rajoy, non vogliono nemmeno sentir parlare di negoziati in questo senso. Intanto perchè proprio i popolari, tradizionalmente centralisti, disapprovavano l’estatut che istituiva l’autonomia fiscale: la destra del partito vuole che si mantenga il pugno di ferro; un’eccessiva arrendevolezza incoraggerebbe poi le forze nazionaliste presenti in altre regioni. Infine, la Spagna vuole a tutti i costi mostrarsi stabile sullo scenario internazonale. Il “no” di Rajoy a Mas, che è la causa diretta del successo della manifestazione dell’11 settembre, è quindi piuttosto motivato: cambierebbe solo dopo una lunga e complessa trattativa.
Quale dovrebbe essere l’oggetto di questa trattativa? L’ottenimento dell’autonomia fiscale è tutt’altro che scontato. Il governo nazionale punta anzi a una ricentralizzazione delle competenze concesse dallo “Stato delle autonomie”. Il nuovo regime sarebbe inoltre poco compatibile col principio di armonizzazione fiscale ora in voga a Bruxelles. Infine – soprattutto se la svolta sovranista di CiU dovesse rivelarsi strumentale – i termini dello scambio potrebbero dimostrarsi squilibrati: Rajoy non ha bisogno di appoggi esterni godendo già di maggioranza assoluta: potrebbe agire in modo tale da lasciare ai politici catalani la responsabilità di rovesciare il tavolo e “rompere la Spagna”.


Catalogna: gli scenari
Il nuovo stato nascerebbe fuori dall’Ue: potrebbe entrarci solo con l’accordo unanime dei membri. Come si comporterebbe in questo caso Madrid? Comunque, per un periodo negoziale di durata non prevedibile, merci e capitali catalani sarebbero esclusi dalla libera circolazione, perdendo l’accesso al mercato spagnolo. Ecco perchè le imprese e le banche di Barcellona e dintorni preferiscono la ricerca di un compromesso. Lo stesso Mas non manca di puntualizzare come la sovranità della Catalogna non debba consistere in un “addio alla Spagna”.
L’autodeterminazione catalana può ancora essere declinata all’interno del quadro statale spagnolo. Alcuni settori nazionalisti, così come buona parte dei socialisti, appoggiano una soluzione federalista. Il vantaggio di mandare in soffitta lo “Stato delle Autonomie” si accompagna però alla difficoltà di costruire un nuovo sistema: alcuni (quanti?) “Stati” federali compresi all’interno della Spagna, a sua volta suddivisa in altre regioni con meno competenze. Un federalismo asimmetrico, dunque, perchè non tutte le Comunità autonome hanno la volontà o la capacità di trasformarsi in una specie di Land tedesco.
La Catalogna sarebbe dunque davvero indipendente? In ogni caso, i suoi abitanti non vogliono rinunciare alla loro sospirata autodeterminazione.
”Entro quattro anni, il referendum sull’indipendenza della Catalogna si fara’: lo assicura il presidente della Generalitat, Artur Mas, in un’intervista pubblicata ieri dal quotidiano La Vanguardia.
Riguardo alla convocazione del referendum sull’ autodeterminazione, che non e’ previsto dalla Costituzione spagnola, l’esponente di CiU ha spiegato che ”si fara’ sempre in un ambito legale”, chiarendo che questo puo’ essere sia ”la Costituzione spagnola, la legge catalana, una legislazione internazionale, o anche altre strade per consultare il popolo della Catalogna, se tutte le altre vengono meno”. La domanda sulla quale sarebbero chiamati a pronunciarsi i catalani, secondo Mas potrebbe essere: ”Vuole che la Catalogna diventi un nuovo Stato della Ue?”. Il presidente catalano assicura che nemmeno un possibile salvataggio dell’economia spagnola cambierebbe ”il processo” avviato nella regione. Quanto alle preoccupazioni espresse da una parte del mondo imprenditoriale catalano rispetto a un’eventuale indipendenza, l’esponente di Ciu replica: ”La prima cosa che il mondo economico deve fare e’ definire strategie per adattarsi al cambiamento di mentalita’ del Paese.


Conclusioni: l’indipendenza e’ un processo assai difficile da realizzarsi, nonostante il consenso maggioritario; ma la vera domanda da porsi, per capire se la secessione passi, qual’e'?
Credo che la strada per l’Indipendenza della Catalogna sia tutt’altro che breve e semplice. Le regole di oggi, non sono facilmente aggirabili e la Spagna piu’ profonda non vuole “mollare” la vacca da mungere, ne’ vuole dare ulterior concessioni, se no la disgregazione non sarebbe piu’ frenabile. Probabilmente l’unica strada per la Catalogna potrebbe essere quella di “forzare” I processi e mettersi in contrapposizione frontale con Madrid e le sue leggi: ma la popolazione Catalana oggi in maggioranza indipendentista, sarebbe disposta un domani a scendere in strada a fronteggiare la guardia civile spagnola?  In fondo, la vera domanda da porsi e’ questa, se si vuole realmente capire se la Catalonia ha chance di ottenere l’indipendenza.




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