venerdì 30 maggio 2014

La vittoria a metà dei nazionalisti fiamminghi in Belgio.

Fonte:Limes-Rivista di geopolitica 

di Roberto Dagnino

Alle elezioni federali e regionali ha prevalso l'N-va di Bart de Wever, ma democristiani, liberali e socialisti hanno un'arma tutt'altro che spuntata nelle consultazioni per il nuovo governo.



“Formare una coalizione senza di noi sarà molto difficile, se non impossibile”. Una dichiarazione sorprendente, se non altro perché rilasciata dal leader di un partito che le elezioni federali e regionali di domenica scorsa in Belgio non le ha vinte.

Ma Kris Peeters, governatore fiammingo uscente, era evidentemente euforico. In primo luogo, perché il suo partito, i democristiani del Cd&v, hanno raggiunto l’obiettivo di superare la soglia del 20% dei voti. In secondo luogo, perché la composizione finale sia della Camera dei rappresentanti sia del parlamento fiammingo attribuisce al suo partito una posizione che in francese si definirebbe "incontournable" (imprescindibile).

I bei tempi di Gaston Eyskens e Leo Tindemans, premier che potevano contare su maggioranze larghissime nelle Fiandre, sono ormai lontani, questo è certo. Tuttavia, a Peeters e al presidente del partito Wouter Beke va il merito di aver limitato i danni ancorando Cd&v a un ruolo - quello di ago della bilancia - che gli consente di restare agevolmente al cuore della vita politica belga.

Le elezioni del 25 maggio erano state definite "la madre di tutte le elezioni" - regionali, federali ed europee cadevano quest’anno nella stessa giornata. Come da previsioni il trionfatore è stato Bart de Wever, sindaco di Anversa e leader della Nuova alleanza fiamminga (N-Va): 4 seggi in Europa (ne aveva 1), 33 alla Camera (27), 43 al parlamento fiammingo (16) e un quinto dei seggi nel nuovo Senato a elezione indiretta.

Solo a Bruxelles i nazionalisti fiamminghi hanno dovuto lasciare spazio ai liberali dell’Open Vld, arrivati primi tra l’elettorato neerlandofono. Ma a tutti gli altri livelli istituzionali è la N-Va a emergere indiscutibilmente come il partito di maggioranza relativa. A De Wever e alla sua formazione spetta pertanto in prima battuta l’incarico di elaborare un programma di governo intorno al quale costituire una maggioranza.

Proprio la posizione di forza non assoluta dei nazionalisti rende così importanti i liberali (di entrambi i gruppi linguistici) e i democristiani (fiamminghi). Si tratta infatti delle famiglie politiche con la maggiore affinità ideologica con il programma della N-va. Lo stesso De Wever non ha nascosto nelle ultime settimane, nonostante una campagna dai toni accesissimi - che una coalizione di centro-destra rappresenterebbe la soluzione più "naturale". Ma il quadro si presenta complesso, soprattutto a livello federale.

De Wever dovrà in particolare fare i conti con il premier uscente Elio di Rupo, il cui Parti Socialiste(Ps) ha sì perso qualche punto percentuale ma è riuscito a mantenere il ruolo di primo partito francofono. Poco indietro arrivano i liberali del Mouvement Réformateur (Mr), che avevano fatto dell’esclusione dal potere degli onnipresenti socialisti e della riduzione dell’assistenzialismo dello Stato sociale belga i punti cardine della loro campagna elettorale. Non sorprende che le voci di un avvicinamento del Mr alla N-va si rincorrano ormai da diverso tempo. Così non è passata inosservata la rottura della storica alleanza tra Mr e nazionalisti valloni della Fdf. Inoltre, De Wever è andato via via sfumando la vocazione ufficialmente indipendentista del proprio partito.

Il nuovo credo dei nazionalisti fiamminghi è il "confederalismo", un concetto che deve ancora trovare una chiara traduzione istituzionale ma su cui, dietro le quinte, ragionano da tempo anche settori liberali e democristiani. In uno degli ultimi dibattiti elettorali in tv De Wever ha tentato - con dubbio successo - di chiarire la propria posizione al riguardo. In linea con le idee dell’Alleanza libera europea (Ale) - la famiglia europea in cui si colloca la N-va - il sindaco di Anversa ha auspicato un rapido rafforzamento dell’Ue: un’evoluzione che a suo parere porterebbe a un parallelo irrobustimento delle identità locali e regionali. A quel punto il Belgio - così come tutti gli altri Stati membri dell’Unione - finirebbe "inevitabilmente" per apparire superfluo.

Il Belgio si è appena lasciato allo spalle una riforma istituzionale molto sofferta che ne ha rafforzato ulteriormente il carattere federale e ha bene o male archiviato il ricordo del famigerato governo vacante, fra 2010 e 2011, con uno stallo durato ben un anno e mezzo.

I belgi devono forse aspettarsi un nuovo, forse lunghissimo braccio di ferro istituzionale? Non è detto. I partiti che non hanno nel proprio programma l’indipendenza delle Fiandre o il confederalismo  - di fatto, tutti i partiti con la sola eccezione della N-va e di un’estrema destra ormai ridotta al lumicino - si preparano infatti a partecipare alle trattative con De Wever con un’arma tutt’altro che spuntata.

Negli ultimi 3 anni il paese è stato governato da una "tripartita", ossia una grande coalizione di socialisti, liberali e democristiani. A conti fatti una riedizione della stessa coalizione sarebbe, numericamente parlando, non impossibile. Certo, ignorare fin dall'inizio la volontà di oltre il 30% dei fiamminghi sarebbe politicamente suicida.

Re Filippo, alla sua prima formazione di governo, pare condividere tale impostazione e ha provveduto, a sole 36 ore dalla pubblicazione dei risultati elettorali, ad affidare a De Wever un primo mandato esplorativo.

Il primo cittadino di Anversa è ben consapevole di essere un vincitore a metà: se finirà per alzare troppo la posta in gioco, come poté permettersi di fare strategicamente nel 2010, la N-va potrebbe ritrovarsi a mani vuote. Una scelta che contraddirebbe il chiaro mandato affidatole dagli elettori.

Martedì 3 giugno è previsto un nuovo incontro tra De Wever e il sovrano per fare il punto della situazione ma è assai improbabile che le condizioni politiche per un incarico ufficiale possano maturare così rapidamente.



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