martedì 15 ottobre 2013

La rivoluzione energetica arriva in America Latina

Fonte: Limes - Rivista di Geopolitica



 di MAURIZIO STEFANINI

Non sono chiari i motivi per cui solamente 11 compagnie, delle 40 inizialmente preventivate, abbiano avanzato effettiva domanda di partecipazione all'asta per il giacimento petrolifero off shore Libra, in Brasile, fissata al 21 ottobre prossimo.

Secondo Reuters, fra le partecipanti figurerebbero
la giapponese Mitsui, l'indiana Ongc, l'anglo-olandese Shell, la colombiana Ecopetrol, la francese Total e le cinesi Sinopec, Sinochem e China National Petroleum Corp; versando la quota d'iscrizione di 2 milioni di reais, pari a circa 900 mila dollari, l'asta consentirà al vincitore di mettere le mani sui 4 miliardi di barili che si stima siano racchiusi nel giacimento.

Nella lista non compaiono né le statunitensi Exxon e Chevron, né le britanniche Bp e Bg. Su queste assenze pesa, con ogni probabilità, il fatto che alla compagnia di Stato brasiliana Petrobras sarà riservata una quota di partecipazione del 30%: in un momento in cui il prezzo delle materie prime si muove al ribasso, la presenza della compagnia di Stato brasiliana dev'esser stata motivo sufficiente per non far reputare come conveniente l'investimento.

Ciononostante, c'è chi motiva queste assenze eccellenti con le rivelazioni fatte da Snowden secondo cui Petrobras sarebbe stata vittima dello spionaggio industriale da parte della National Security Agency (Nsa) statunitense. Da par suo Petrobras si è affrettata a smentire ogni possibile illazione, pur aggiungendo come le indiscrezioni abbiano "causato una certa inquietudine". Stando a quanto riferito dall’amministratore delegato di Petrobras, Maria das Graças Silva Foster, lo spionaggio non sarebbe stato comunque possibile poiché le comunicazioni tra Petrobras e l’Agenzia Nazionale di Petrolio, Gas e Biocombustibili (Ang) del Brasile non passano via internet. Eppure, resta forte il dubbio che tale smentita sia stata fatta per non destare ulteriori sospetti.

Possibile che le compagnie anglosassoni abbiano usufruito di informazioni circostanziate provenienti dall'agenzia statunitense sulla non convenienza dell'affare Libra? Oppure, più semplicemente, hanno temuto d'esser prese d'infilata dall’incipiente conflitto diplomatico tra Washington e Brasilia?

Tra tanti punti interrogativi destati dalla vicenda, infatti, l'unica certezza riguarda l'ira della presidente brasiliana Dilma Rousseff che ha prima annullato la visita ufficiale in programma a Washington per il prossimo 23 ottobre e quindi tenuto, dallo scranno dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, il più duro discorso anti-Usa mai pronunciato in quell'assise dai tempi di Chávez e del suo famoso "odore di zolfo". Può darsi che Rousseff abbia calcato la mano per recuperare consensi in patria a seguito delle violente manifestazioni anti-governative di quest'estate. Resta il fatto che l'opinione pubblica brasiliana è stata fortemente irritata dall'intera vicenda, unitamente alla sincera delusione del governo di Brasilia per la piega presa dagli eventi, in particolare, rispetto ad un giacimento petrolifero reputato il fiore all'occhiello dell'industria energetica verdeoro.

Le parole che Rousseff ha pronunciato al Palazzo di vetro sono state chiare: “Siamo di fronte a un grave caso di violazione dei diritti umani e delle libertà civili, di furto d'informazioni confidenziali legate ad attività imprenditoriali e, soprattutto, di non rispetto della sovranità nazionale”. Ancora: “Una tale ingerenza è una violazione del diritto internazionale e un affronto ai principi delle relazioni tra paesi, specialmente se questi si reputano amici”. Infine: “Trasmettiamo al governo degli Stati Uniti la nostra protesta, esigendo spiegazioni, scuse e garanzie che questi comportamenti non si ripeteranno”.

Dal momento che, per tradizione, il presidente del Brasile è il primo a prendere la parola in seno all’Assemblea Generale, il suo omologo statunitense Barack Obama è stato successivamente costretto a replicare, assicurando che: “Abbiamo iniziato a rivedere il modo in cui otteniamo le informazioni di intelligence così da raggiungere un corretto equilibrio fra le legittime preoccupazioni di sicurezza dei nostri cittadini e dei nostri alleati e le apprensioni che tutti condividiamo rispetto ai temi della privacy".

Al presidente Dilma tutto ciò non deve essere parso sufficiente. Ha infatti definito come “totalmente inaccettabile” lo spionaggio perpetrato nei confronti di imprese estere, invocando un’azione internazionale concertata dalle Nazioni Unite per evitare “che il cyberspazio sia usato come un'arma da guerra” di modo da sferrare un attacco, sia pur indiretto, all’attuale sistema di gestione di internet, che rimane sotto il sostanziale controllo degli Usa. Non a caso, ancor prima di recarsi a New York, Rousseff aveva proposto alla sua omologa argentino Cristina Kirchner la realizzazione di uno “scudo cibernetico” comune ai due paesi.

La pur importante querelle sullo spionaggio rischia però di far passare in secondo piano la questione energetica. Interferenze o meno da parte dell'Nsa, quella che per Libra rischia di profilarsi come un'asta dagli esiti inferiori alle aspettative (visto l'esiguo numero dei suoi partecipanti) giunge nel momento in cui la rivoluzione di shale gas e shale oil, vera o presunta che sia, si accinge a ridisegnare il quadro petrolifero latinoamericano e non solo: da un lato, incrementando la competizione sul lato dell'offerta; dall'altro, imponendo maggiori investimenti in ricerca, sviluppo e nuove tecnologie al fine di individuare e poter sfruttare i vari giacimenti.

Si spiega così la decisione del governo argentino, datata 16 luglio, di far siglare alla compagnia petrolifera di Stato Ypf un accordo con Chevron per lo sviluppo, tramite lo sfruttamento delle sue risorse non-convenzionali, del giacimento Vaca Muerta. Per inciso, Ypf è la società già privatizzata al tempo del governo Menem, mediante cessione agli spagnoli di Repsol, e recentemente rinazionalizzata da Kirchner. La stessa Kirchner, che ora sarà costretta a un mese di riposo assoluto a causa di un ematoma al cervello,  ha tentato d'imbastire un'ulteriore joint venture, questa volta con i venezuelani di Pdvsa (dai magri risultati, visto il calo della produzione del 2,69%), l'intesa con Chevron ha provocato le vibranti contestazioni delle sinistre radicali argentine e delle comunità indigene, mentre gli spagnoli di Repsol sono impegnati in una dura battaglia legale contro Buenos Aires per l'ottenimento degli 8 miliardi di euro di indennizzi (a causa della nazionalizzazione).

Da par suo Chevron, in cambio di un investimento iniziale superiore al miliardo di dollari (che sarà seguito da altri 12, da destinarsi entro il 2015), beneficerà del regime fiscale eccezionalmente favorevole (il 20% di esenzioni fiscali sull'export) che l'Argentina assicura alle multinazionali estere che investono nel mercato energetico del paese più di un miliardo di dollari. Nel 2017 la compagnia statunitense intende arrivare a estrarre circa 50 mila barili di greggio e 3 milioni di metri cubi di gas naturale al giorno: quello argentino è oggi il secondo paese al mondo per riserve di shale gas (circa 802 trilioni di piedi cubi) e il quarto per shale oil (27 miliardi di barili).

Dopo l'argentina Ypf, la più antica compagnia petrolifera di Stato latinoamericana è la messicana Pemex, per lungo tempo soggetta a un ferreo controllo da parte delle autorità governative del paese centroamericano. Più di recente, invece, il presidente Enrique Peña Nieto ha aperto alla possibilità di varare una "riforma petrolifera" che favorisca la cooperazione Stato-privati, dunque l'immissione di nuovi capitali nel mercato energetico messicano e, più in generale, consenta al paese di mettere in moto quel processo di crescita economica ventilato dallo stesso Peña Nieto nel corso della sua vittoriosa campagna elettorale.

Presto bollata dalle opposizioni di sinistra come una mera "svendita delle risorse nazionali allo straniero", la riforma non ha neppure i tratti di una vera e propria privatizzazione, motivo per cui è stata criticata piuttosto duramente anche da destra, in particolare dal Partito d'azione nazionale: la modifica degli articoli 25, 27 e 28 della Costituzione del Messico consentirà infatti a Pemex di stabilire con i privati delle semplici joint venture. È in questo modo che le autorità messicane intendono attrarre quei circa 5 miliardi di dollari in investimenti annui che sono stimati necessari a innalzare la produzione petrolifera nazionale da 2,5 a 3 milioni di barili al giorno entro il 2018, e quindi 3,5 entro il 2025. Il contributo dei capitali privati si rende particolarmente impellente nel momento in cui il bilancio pubblico non è assolutamente in grado di soddisfare le esigenze dell'industria energetica, anche perché il 70% dei proventi di Pemex è destinato alle casse statali per altre spese. Nel settore del gas, dove il Messico è costretto ad importare circa il 30% del proprio fabbisogno, l'obiettivo è quello di passare entro il 2018 da circa 5,7 a 8 miliardi di piedi cubi estratti al giorno, e a 10,4 entro il 2025.

In Ecuador, frattanto, Chevron è da tempo impegnata in un duro contenzioso con il governo del presidente Rafael Correa. Questi ha lanciato una vera e propria campagna di boicottaggio nei confronti della compagnia statunitense dopo averla accusata di essere la responsabile di uno dei "maggiori disastri ambientali del mondo", in Amazzonia. Tecnicamente, Chevron non ha mai operato direttamente in Ecuador: acquistando nel 2001 Texaco ha però finito per ereditare anche la posizione di quest'ultima, che nel 2011 è stata condannata dalla Corte superiore di giustizia della provincia di Sucumbíos al pagamento di una multa di 19 miliardi di dollari per danni ambientali. 

Chevron ha a sua volta avviato una procedura di arbitrato presso il tribunale dell'Aia, definendo la campagna orchestrata da Correa come uno "show mediatico" e accusandolo di aver manipolato le denunce contro la compagnia sporte 13 anni prima da alcune comunità amazzoniche: la Corte le ha dato ragione, benché sia ora da attendersi un altro giudizio (fissato per il 25 novembre), questa volta da parte di un tribunale di New York.

Il presidente Correa ha comunque autorizzato le operazioni di trivellamento nel Parco Yasuni, un'area dell'Amazzonia che racchiude un complesso di biodiversità superiore a quello di Stati Uniti e Canada messi assieme. Questo, dopo che nel 2007 aveva promesso che i circa 800 milioni di barili - stimati presenti nel sottosuolo del parco - non sarebbero stati toccati se in cambio la Comunità internazionale avesse versato all'Ecuador 3,6 miliardi di dollari in 12 anni. Avendo ricevuto non più di 13,3 milioni (altri 116 sono stati promessi), Correa ha infine dichiarato concluso il progetto ecologico, argomentando che "i soldi del petrolio ci servono per combattere la miseria".

Anche il Paraguay ha annunciato che darà avvio alle perforazioni petrolifere ad inizio 2014 dopo la scoperta di gigantesche riserve presenti nel suo sottosuolo, le quali ammonterebbero a circa 14 trilioni di metri cubi. Il nuovo governo di Horacio Cartes intende comunque muoversi, in questo campo, con maggiore prudenza rispetto a quanto fatto dalla precedente amministrazione di Federico Franco.

Infine, anche la Colombia ha messo mano alla propria legislazione in materia energetica con l'intento di estendere da 6 a 9 anni l'arco temporale concesso dallo Stato per l'esplorazione del sottosuolo (al fine di individuare la presenza di eventuali idrocarburi non convenzionali); ha quindi creato un nuovo sistema di pagamento per le regalie e varato un apposito pacchetto di incentivi fiscali. Sono almeno 3 le aree del territorio colombiano che si reputano capaci di celare idrocarburi non convenzionali: la più importante fra queste è il Valle del Magdalena Medio, ove sono stati già perforati 4 pozzi.

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