martedì 29 ottobre 2013

La moneta unica e il riformismo graduale di Cuba.

Fonte: Limes- Rivista di Geopolitica

di Niccolò Locatelli

Il regime dei Castro abbandonerà il sistema monetario attuale basato su peso cubano e peso convertibile. Economicamente e diplomaticamente, L'Avana è una delle realtà più dinamiche dell'America Latina.

Cuba torna alla moneta unica: il sistema attuale, basato su una valuta chiamata peso cubano convertibile (cuc) e sul peso cubano (cup, che vale 1/25 del cuc) verrà abbandonato.

Pochi, al momento, i dettagli noti: il Consiglio dei ministri presieduto da Raúl Castro ha approvato un programma di unificazione monetaria e cambiaria per ridare valore al peso cubano. Secondo economisti cubani citati da Reuters, il processo durerà almeno 18 mesi e prevedrà la svalutazione del cuc e una parziale rivalutazione del cup.

Il cuc era stato creato nel 1994: all'epoca l'economia cubana era stata ridotta al collasso dal crollo dell'Unione Sovietica, che aveva comportato la fine dei generosi sussidi di Mosca. Fidel Castro aveva scelto allora di puntare sul turismo, legalizzando la circolazione del dollaro e coniando questa nuova moneta. La valuta convertibile, il cui valore è stato fissato a 1 dollaro (riescluso dalla circolazione nel 2004), arriva dalle transazioni dei turisti e dagli scambi con l'estero. I salari dei dipendenti pubblici, in un contesto in cui l'iniziativa privata fino a pochi anni fa era quasi inesistente e il principale datore di lavoro continua a essere lo Stato, sono invece pagati in cup.

La moneta forte ha dato linfa vitale a L'Avana, ma ha anche creato una spaccatura (intrinsecamente antitetica agli ideali comunisti della rivoluzione castrista) nella popolazione tra chi, lavorando con turisti o nel commercio, ha accesso privilegiato al cuc - necessario per acquistare prodotti importati - e chi (la maggioranza) no.

La decisione di eliminare la doppia valuta potrà avere delle conseguenze negative in una prima fase ma è un passo verso la razionalizzazione di un sistema economico i cui limiti sono stati denunciati dallo stesso presidente Raúl Castro. Da qualche tempo Cuba ha avviato delle riforme liberalizzatrici che procedono con gradualità e recapitano un messaggio chiaro: l'isola sta cambiando.

Alle aperture in campo economico si affiancano quelle in campo politico, come lo snellimento delle procedure per viaggiare all'estero. Altre non hanno un impatto pratico ma simbolico, come la recente sostituzione del direttore di Granma, il quotidiano ufficiale della Rivoluzione; Raúl aveva criticato il trionfalismo dei media e il nuovo direttore sembra essere lievemente meno acritico e più al passo coi tempi. Misure che comunque non indicano in alcun modo una marcia di avvicinamento verso un sistema democratico. Il modello per ora sembra essere quello di Cina e Vietnam: liberalizzazioni economiche mantenendo saldamente il potere politico.


Qualcosa sta cambiando anche nei rapporti internazionali di L'Avana.

Dalla fine della guerra fredda, i Castro sono stati in grado di trovare un nuovo patrono, meno poderoso dell'Unione Sovietica ma ugualmente disposto a sovvenzionare l'isola, in particolare col petrolio: il Venezuela di Hugo Chávez, che vedeva in Fidel un faro e che con lui ha ideato l'Alleanza bolivariana dei popoli di nostra America (Alba).

Negli anni di Chávez (1999-2013), il legame tra Caracas e L'Avana si è rafforzato in senso favorevole alla seconda, che è ancora oggi in grado di esercitare un tutoraggio non solo ideologico sulla prima, grazie ai suoi uomini dei servizi segreti e delle Forze armate presenti in numero sconosciuto negli alti ranghi del potere venezuelano. Si ritiene che Chávez abbia designato come suo erede politico l'attuale presidente Nicolás Maduro anche in virtù dei legami di quest'ultimo - già ministro degli Esteri - con Cuba, legami che nel caso di altri dirigenti chavisti come Diosdado Cabello sono più tenui.

La crisi globale iniziata nel 2008, che ha causato il calo del prezzo del petrolio, ha colpito anche le finanze del Venezuela, troppo dipendenti dalle esportazioni di oro nero. La morte di Chávez ha aggiunto un elemento di tensione politica a una situazione economica che già negli ultimi anni di Hugo era notevolmente peggiorata.

Cuba ha però evitato di legare il suo destino solo a Caracas, che pure rimane 1° partner commerciale dell'isola, aumentando gli scambi con la Cina. Raúl Castro è considerato un sostenitore del modello cinese. Il rapporto bilaterale è essenzialmente commerciale: la Repubblica Popolare Cinese ha fatto capire di essere interessata al nickel e al petrolio cubano ma non a un'alleanza che parta dal richiamo al comunismo per opporsi agli Stati Uniti. D'altra parte, la stessa Cuba potrebbe in un futuro non troppo lontano abbandonare l'ostilità retorica nei confronti di Washington (che ricambia con i fatti).

Dal primo mandato di Obama è cominciato un lentissimo processo di disgelo tra gli Stati Uniti e il regime castrista, partito da misure people-to-people (semplificazione delle procedure per i viaggi e per inviare rimesse etc). L'esito di questo riavvicinamento è incerto, vista l'enormità delle questioni sul tavolo.

Cuba vorrebbe la fine dell'embargo e l'esclusione dalla lista degli Stati sponsor del terrorismo stilata annualmente dal Dipartimento di Stato Usa; Washington prima di fare concessioni pretende un chiaro impegno di L'Avana a favore della democrazia e dei diritti umani. Il nuovo panorama elettorale statunitense, in cui il peso della storica e influente lobby cubano-americana anticastrista, anche per motivi anagrafici, si va riducendo, può favorire il dialogo.

Il ritorno alla moneta unica è un nuovo passo sulla via del riformismo che il regime dei Castro ha intrapreso da qualche anno in economia e in diplomazia. I risultati non sono ancora giudicabili, complice la scelta di implementare gradualmente le riforme.

Lungi dall'essere un relitto geopolitico, Cuba si conferma una delle realtà più dinamiche dell'America Latina.

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