Fonte: EURASIA-Rivista di studi geopolitici.
di Spartaco A. Puttini
L’attuale tragedia
siriana si inscrive a pieno titolo tra i capitoli che compongono il
libro nero dell’Occidente. Cioè nella storia della lotta condotta dalle
forze imperialiste per riportare sotto il loro controllo un paese e un
popolo che per un secolo ha rappresentato un importante fattore della
rinascita araba e della lotta antimperialista.
Nel
loro tentativo di controllare la ricca e strategica regione del Vicino
Oriente, gli Stati Uniti hanno ingaggiato da tempo un braccio di ferro
con la Siria, sia direttamente che per interposta persona, tramite
Israele. Ma le strategie dell’imperialismo per indurre Damasco a
capitolare sono state finora sempre sconfitte (e sonoramente), dalla
guerra civile libanese (tra il 1975 e il 1991) in poi.
Dominio mondiale e “Grande Medio Oriente”
Le
guerre che Washington ha lanciato nel recente passato per inseguire il
suo sogno di “dominio a pieno spettro”, a partire dall’avventura
irakena, sono state foriere di guai. Non hanno arrestato il declino
statunitense di fronte all’emersione di Potenze antiegemoniche (Cina,
Russia, etc…); hanno facilitato lo stabilirsi di intese strategiche
antimperialiste tra i propri antagonisti (Cinesi, Russi, Iraniani,
Siriani, Libanesi, Latinoamericani, etc…); non hanno spezzato l’asse
della Resistenza tra Iran, Siria, forze patriottiche libanesi e
palestinesi.
L’eliminazione del regime di Saddam Hussein in Iraq e
dei Talebani in Afghanistan, che rappresentavano due antemurali per il
contenimento della Repubblica islamica iraniana, ha di fatto sortito
l’effetto di rafforzare il ruolo di Teheran nella regione. Le guerre
statunitensi non sono nemmeno riuscite a stabilire dei solidi
protettorati nei territori occupati, provocando semplicemente la
sovraesposizione militare del Pentagono.
Dopo che i tentativi di
passare sul cadavere del piccolo Libano, per spingere la Siria a
capitolare e per isolare l’Iran, sono falliti, l’Occidente ha puntato
direttamente alla destabilizzazione della Siria grazie al supporto
delle bande mercenarie composte da terroristi di ispirazione wahhabita.
Tali bande sono foraggiate, sulla base di un circuito rodato che
risale addirittura alla guerra condotta contro l’Afghanistan
repubblicano a partire dalla fine degli anni Settanta, dall’Arabia
Saudita e dagli emirati del Golfo.
Si è così costituita una rete
di complicità che accomuna le potenze occidentali, gli emiri del Golfo,
la Turchia e la galassia dell’islam radicale settario. L’obiettivo è
abbattere una buona volta l’antemurale siriano distruggendone lo Stato,
chiudere nel sangue l’ultimo capitolo del processo di emancipazione
nazionale promosso dal mondo arabo all’epoca della decolonizzazione e
isolare l’Iran in vista della resa dei conti finale. E’ solo per il
gusto del ridicolo che le forze che stanno foraggiando la guerra a
bassa intensità contro Damasco si presentano come “amici della Siria” e
ostentano preoccupazioni democratiche e premure per i diritti umani di
origine assai dubbia.
La controrivoluzione araba
I
paesi assolutisti del Golfo mettono a disposizione le loro
petro-ricchezze per reclutare in ogni angolo del mondo islamico bande di
fanatici integralisti che nascondono i loro ripetuti ed efferati
crimini dietro una lettura blasfema, oscurantista ed eretica della
religione islamica, strumentalizzata a soli fini di potere dalle ricche
oligarchie reazionarie arabe legate a doppio filo all’imperialismo, le
quali tentano con tutte le loro forze di fermare i processi
rivoluzionari in corso da decenni nel mondo arabo-isalmico, con alterne
fortune. Che questi processi rivoluzionari alzino l’insegna del
nazionalismo laico e socialisteggiante (come in Siria) o quello islamico
a carattere antimperialista (come in Iran) per loro non fa grande
differenza. Pescano dai loro arsenali propagandistici le accuse di
eresia più strampalate e le diffondono sui loro circuiti mediatici
spargendo il seme dell’odio e della violenza.
La guerra per
procura alla Siria, camuffata e distorta dal circuito mediatico
occidentale, vera e propria macchina di disinformazione ed
indottrinamento, ha inferto al popolo siriano immani sofferenze da più
di un anno. L’azione di mercenari e bande criminali che operano per
destabilizzare il paese e farlo crollare dall’interno, rendendo
impossibile la convivenza civile, non è però riuscita a centrare il
bersaglio grosso: il rovesciamento del presidente Assad e di quelle
istituzioni repubblicane che hanno da sempre fatto della laicità dello
Stato e del rispetto e della parità tra le varie componenti
confessionali in cui si articola il paese la pietra angolare della loro
politica patriottica e progressista.
Per dare la spallata alla
resistenza di cui sta dando prova il popolo siriano, stretto attorno
alle sue istituzioni e alle sue Forze Armate nel tentativo di
scongiurare il dilagare dell’inferno portato dalle bande di mercenari e
fanatici al soldo dell’Occidente e dei suoi fiduciari locali, sarebbe
determinante poter effettuare un’offensiva massiccia dall’esterno, sul
modello dello scenario libico.
Ma la collocazione delle forze in
campo a livello internazionale intorno alla crisi siriana ha fino ad
adesso impedito un tale esito e non pare che le cose siano destinate a
cambiare nell’immediato futuro.
La polveriera
Russia
e Cina hanno infatti adottato una postura molto ferma, evitando che in
sede ONU potessero essere approvate risoluzioni adatte a coprire con
una foglia di fico un’aggressione diretta alla Siria. Mosca ha un
interesse diretto nel dossier siriano. La Siria è una sua storica
alleata, ed è ormai l’unico paese dell’Oriente arabo chiaramente
schierato in senso antimperialista. Una sua caduta aprirebbe ai gruppi
dell’integralismo islamico reazionario la possibilità di trasformare
l’intero Medio oriente in una testa di ponte contro il Caucaso, l’Asia
centrale e il fianco sud della Federazione russa. E’ un segreto di
pulcinella che siano attivi nelle bande che operano in Siria molti
terroristi ceceni.
La caduta della Siria lascerebbe inoltre
pesantemente esposto l’Iran, altro alleato chiave della Russia nella
sua strategia di costruzione di un ordine internazionale multipolare
che possa scongiurare la dittatura planetaria degli Stati Uniti.
L’esposizione dell’Iran, che con la Siria ha un’alleanza vera e propria
nonostante l’abissale diversità che caratterizza i due regimi
politici, chiama in causa direttamente anche la Cina. Per scongiurare
l’egemonismo unipolare statunitense, oltre all’intesa tra i due giganti
eurasiatici, è necessario stabilire legami anche con medie e piccole
potenze regionali, con paesi cioè che possono esercitare un’influenza
politica in aree ristrette ma cruciali per l’andamento della partita
geopolitica in corso. Si è così stabilita una triangolazione strategica
tra Mosca, Pechino e Teheran.
Questa triangolazione è emersa con
chiarezza nel corso dell’attuale tragedia siriana, quando, di fronte
alla ostinata ed illegale guerra per procura ingaggiata dall’Occidente
contro la Siria, i tre paesi hanno supportato apertamente Damasco.
La
Siria si trova così lungo la faglia del confronto globale tra
l’Occidente imperialista americanocentrico e le potenze emergenti ed
antiegemoniche.
Il pesante sovvenzionamento delle bande armate da
parte dell’alleanza costituita dalla Nato, dalle satrapie del Golfo e
dalla Turchia e la minaccia costantemente agitata di trasformare questa
sporca guerra per interposta persona in una aggressione diretta alla
Siria hanno provocato una situazione incandescente.
Dopo la battaglia di Qusayr
In questo contesto non può meravigliare che Mosca e Teheran abbiano deciso di coordinare le mosse dei loro servizi di intelligence
e abbiano manifestato la loro ferma intenzione di operare per
un’uscita pacifica dal conflitto, supportando nel frattempo, anche
militarmente, l’esercito siriano.
Durante la grande battaglia di
Qusayr, al confine tra Siria e Libano, si è assistito ad una svolta
nel conflitto. Per la prima volta i siriani hanno potuto godere
dell’appoggio diretto dei loro alleati di Hezbollah sul terreno. Al
flusso dei mercenari integralisti, provenienti anche dal vicino Libano e
sostenuti apertamente dal partito del miliardario di origine saudita
Hariri, si è così contrapposto l’invio di brigate combattenti per
aiutare il governo siriano a fronteggiare la reazione.
Il leader
di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha espresso chiaramente le motivazioni
strategiche che hanno spinto il partito politico libanese ad
intervenire nella battaglia di Qusayr. Per decenni Hezbollah e le forze
patriottiche libanesi sono state sostenute da Siria e Iran, ora è
venuto il momento di restituire il favore. Nasrallah ha colto che nel
momento in cui uno dei pilastri dell’Asse della Resistenza nella regione
era sotto assedio non si poteva stare a guardare. Le incursioni aeree
israeliane, che hanno finito con il favorire oggettivamente le bande
armate, hanno forse avuto un loro involontario ruolo nel precipitare
questa decisione.
Nasrallah ha sostenuto che la Siria rappresenta
la retrovia della resistenza libanese ed ha argomentato che quando la
retrovia è minacciata occorre intervenire per garantirla. “Se non
intervenissimo saremmo degli idioti”, ha chiosato il leader del Partito
di Dio.
L’atteggiamento di Hezbollah si discosta massicciamente
da quello di alcune formazioni palestinesi come Hamas, che per anni
sono state ospitate a Damasco e sostenute dalla Siria e che, di fronte
all’attuale tempesta, hanno finito con il mordere la mano di chi li ha
soccorsi nel momento del bisogno per cercare protezione presso gli
emiri del Golfo e puntare sulla carta dell’ascesa della Fratellanza
musulmana nella regione. C’è davvero qualcuno che ritiene che questa
spericolata ed inqualificabile capovolta possa aprire nuove prospettive
per il popolo palestinese e per la risoluzione della sua annosa
questione.
Archiviata con un chiaro successo militare la
battaglia di Qusayr, l’esercito siriano dovrebbe aver messo in
sicurezza il confine con il Libano può puntare verso nord. “Uragano del
nord” è il nomignolo dato alle operazioni che mirano a sgominare la
bande che infestano la regione di Aleppo. Nello stesso tempo la Nato e i
suoi alleati locali hanno mostrato i muscoli nel corso di imponenti
esercitazioni militari congiunte in Giordania, proprio al confine con
la Siria. C’è chi sospetta che queste manovre possano servire per
esfiltrare mercenari rimasti in trappola dopo la brutta piega che per
gli aggressori stanno prendendo gli eventi siriani. Ma potrebbero anche
rappresentare la preparazione di una dissennata fase due. A Qusayr i
servizi siriani hanno rinvenuto abbondante documentazione circa il
traffico d’armi con cui mezzo mondo sostiene le bande terroriste armate
che operano in Siria contro le regole della convivenza internazionale.
Il braccio di ferro tra Usa e Russia
Disgraziatamente
la tragedia siriana non sembra ancora avviata alla soluzione. Gli
imperialisti e i loro alleati locali perseverano nel sostenere la
destabilizzazione del paese arabo e alimentano così un pericolosissimo
focolaio di tensione internazionale.
Il loro scomposto agitarsi
di fronte alla decisione russa di fornire alla Siria il sistema di
difesa contraerea (DCA) composto dai missili terra-aria a lunga gittata
S-300, è la più chiara manifestazione di ciò. Sanno benissimo che con
l’ombrello di questo sistema tutta la DCA siriana ne verrebbe
rafforzata e che diventerebbe troppo costoso un loro intervento diretto
nel conflitto tramite bombardamenti al tappeto effettuati con la scusa
di imporre una zona di non sorvolo. Gli S-300 possono mettere in crisi
l’opzione dell’air-power cui gli Stati Uniti amano ricorrere
per rinnovare i fasti della politica delle cannoniere nel nuovo secolo.
Chavez aveva tempo addietro chiosato: “per fortuna esistono la Russia e
la Cina”.
Recentemente pare che la Russia, tramite il portavoce
del Ministero degli Esteri Lukashevic, abbia cestinato l’ipotesi
avanzata dagli Usa di istituire una zona di non sorvolo. L’esempio
libico ha aperto gli occhi ai dirigenti del Cremlino e Putin appare
determinato a non abbandonare la Siria alla sua sorte. Come Andropov,
che nei primi anni ’80 aveva dotato i siriani di sistemi d’armi mai
usciti prima dal Patto di Varsavia e che si era detto determinato a non
consentire a nessuno di minacciare la Siria, anche Putin è cosciente
dell’importanza strategica del suo alleato e del ruolo che oggi ricopre
il dossier siriano nella partita globale per delineare un nuovo
equilibrio di potenza a livello internazionale. La decisione russa di
sostenere militarmente Damasco tramite l’invio dei missili antiaerei
S-300 pare confermare che gli Usa e i loro alleati stanno giocando col
fuoco. Difficilmente un aperto attacco alla Siria potrebbe restare
localizzato come è avvenuto con le avventure belliche del passato
recente. Il coinvolgimento nel conflitto dell’Iran e di altri attori
regionali, di conseguenza, potrebbe trascinare nel baratro tutte le
principali Potenze.
Per il momento i piani imperialisti per dare una svolta al conflitto che sia favorevole alle loro milizie sono dunque bloccati.
L’ipotesi
più probabile è che continueranno a soffiare sul fuoco della guerra a
bassa intensità per indebolire la Siria. Ma il pericolo che la
situazione possa sfuggire di mano e innescare un’escalation è sempre in
agguato.
Le ambizioni di Washington di imporre un ordine
unipolare e le naturali tendenze verso la maturazione di un equilibrio
internazionale più rispettoso degli interessi dei vari popoli e delle
varie nazioni che non vogliono vedere calpestata la loro sovranità
passa anche e forse principalmente dall’esito che avrà il braccio di
ferro in corso nel Levante arabo.
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