Fonte: LIMES-Rivista di Geopolitica
di Niccolò Locatelli
Mentre Messico, Colombia, Perù e Cile puntano sull'integrazione e sul
commercio con i mercati dell'Asia, gli orfani di Chávez devono fare i
conti con la nuova realtà. A rischiare, paradossalmente, è anche il
Brasile.
Si è concluso giovedì 23 maggio 2013 a Cali, in Colombia, il Settimo vertice dell’Alleanza del Pacifico [Ap], che comprende Messico, Colombia, Perù e Cile.
È stata l’occasione per ricapitolare i passi compiuti
(ed enumerare quelli da compiere entro giugno) sulla via
dell'integrazioen da questa giovane organizzazione, fondata a giugno
2012: riduzione dei dazi, abolizione dei visti turistici tra paesi
membri, condivisione di alcune sedi diplomatiche, creazione di un fondo
di cooperazione. Le Borse valori di Perù, Colombia e Cile a partire dal
maggio 2011 operano in maniera unificata, pur mantenendo la loro
indipendenza, all’interno del Mercato integrato latinoamericano (Mila);
la Borsa messicana dovrebbe unirsi entro il 2014. Quest’anno è iniziato
anche il processo di formazione di un parlamento dell’Ap.
Al vertice erano presenti in qualità di osservatori:
Costa Rica (che dopo aver ratificato un trattato di libero commercio
con la Colombia diventerà membro del blocco), Panama (candidato alla
membership), Spagna, Canada, Guatemala, Uruguay, Nuova Zelanda,
Australia e Giappone. Altri 7 paesi hanno ottenuto in questa occasione
lo status di osservatore: Ecuador, El Salvador, Francia, Honduras,
Paraguay, Portogallo e Repubblica Dominicana.
Come mai un’alleanza così giovane e ristretta
riscuote un interesse così ampio anche fuori dall’emisfero occidentale?
Certo, l’Ap comprende 209 milioni di persone (il 36% della popolazione
latinoamericana) e il 35% del pil regionale. Ma - limitandoci al
Sudamerica - il Mercosur rappresenta l’80% del pil e il 70% della
popolazione; e se c’è una cosa che non fa difetto all’America Latina
sono sicuramente le istituzioni e le alleanze internazionali: Aladi,
Unasur, Celac, Alba, Caricom, Comunità Andina, Sica, Parlamento
latinoamericano...
L’Alleanza del Pacifico è unica e interessante per tre motivi.
Innanzitutto, la geografia: come suggerisce il nome,
fanno parte dell’Ap esclusivamente paesi che si affacciano sull’Oceano
Pacifico e che, in virtù di ciò, si proiettano anche commercialmente
verso i dinamici mercati dell’Asia Orientale, a cominciare naturalmente
da quello della Cina.
Poi, l’economia: non solo nel senso che l’Alleanza nasce con obiettivi economici
quali garantire la libera circolazione di beni, servizi, capitali e
persone e favorire la crescita, lo sviluppo e la competitivà dei paesi
membri. Ma anche nel senso che chi ne fa parte è un convinto sostenitore
dell’economia di mercato, deve aver stretto accordi di libero commercio
con gli altri membri e punta sull’export (percentuale export/pil: Colombia 19%, Perù 29%, Messico 32%, Cile 38%; nessuna grande economia regionale ha valori più alti).
Infine, la politica: per essere membri dell’Alleanza
del Pacifico basta essere uno Stato di diritto, democratico, con
separazione dei poteri. L’Ap non si pone obiettivi politici nè nasce in
antagonismo ad altre organizzazioni regionali - almeno, non
dichiaratamente. Il fatto che i 4 paesi che la compongono siano retti da
governi di destra (Cile, Colombia), di centro (Messico) o nazionalisti
(Perù) conta fino a un certo punto. Sicuramente nessuno di quei
presidenti è un seguace di Hugo Chávez: il peruviano Humala lo era, ma
per vincere si è convertito al lulismo. Il dato più importante è che,
chiunque sia al potere, questa alleanza ha scopi funzionali alle
economie dei suoi Stati membri.
Queste caratteristiche pongono l’Ap in un’altra categoria geopolitica rispetto a Alba e Unasur: la prima nacque dalla volontà di VeneCuba
di offrire un modello alternativo al binomio democrazia liberale-libero
mercato caro agli Usa e di contestare il predominio di Washington in
America Latina. La seconda è il risultato delle idee di Chávez,
temperate dal Brasile, e si propone di risolvere senza l’aiuto
statunitense le questioni sudamericane.
L’Alleanza del Pacifico in questo momento si contrappone al Mercosur, il blocco commerciale che comprende Brasile, Argentina, Uruguay, Paraguay (sospeso dopo il non-golpe dell’anno scorso, dovrebbe essere riammesso a breve)
e dall’anno scorso Venezuela; la Bolivia ha iniziato il processo di
incorporazione. Quello che dovrebbe essere un mercato comune
sudamericano è in realtà ostaggio dei suoi due paesi più grandi
(Argentina e Brasile), che non esitano a ricorrere a misure protezionistiche per tutelare economie meno aperte di quelle dei membri dell’Ap.
L’Ap finisce così per mettere in luce la spaccatura che si sta formando nell’America Latina post-chavista.
Da una parte ci sono gli orfani di Chávez (Venezuela, Cuba, Bolivia,
Nicaragua, Argentina, in misura minore l’Ecuador), che condividono e
vogliono mantenere viva l’eredità ideologica del comandante venezuelano
ma devono fare i conti con una realtà economica diversa
rispetto agli anni della prodigalità di Caracas. Dall’altra ci sono i
paesi del Pacifico, che guardano a Oriente e mettono l’espansione dei
commerci in cima alla loro agenda di politica estera. La frattura è
geografica oltre che ideologica, ma per bypassarla potrebbe bastare un
po' di pragmatismo.
Chi rischia di rimanere intrappolato è, paradossalmente, il Brasile.
La prima economia latinoamericana ha abbandonato, con Dilma, il
protagonismo internazionale dei tempi di Lula e si è concentrata sul suo
giardino di casa - un giardino abbastanza ampio, dato che comprende
tutti i paesi sudamericani tranne Ecuador e Cile. Ultimamente, Brasilia
si è occupata della stabilità del Venezuela (legittimando la contestata vittoria di Maduro)
e dei non facili rapporti commerciali con l’Argentina. Rafforzarsi là
dove è già più forte, cioè nel Mercosur, servirà poco al gigante
lusofono se come previsto la crescita economica in questo secolo
proverrà dall’Asia. Anche il protezionismo - utile nelle fasi iniziali
di sviluppo di un settore industriale - nel lungo periodo è
insostenibile: non favorisce la competitività e la crescita delle
aziende nazionali, aumenta il prezzo dei prodotti e spaventa gli
investitori internazionali.
La geografia emette sentenze inappellabili: la parte
Pacifica dell’America Latina può beneficiare della vicinanza relativa
ai più dinamici mercati asiatici. L’interazione non è facile: tutti gli
Stati centro e sudamericani rischiano di essere invasi da prodotti
cinesi a basso costo senza avere esportazioni in grado di riequilibrare
la bilancia commerciale. Rischio particolarmente presente per chi ha un
trattato di libero commercio con Pechino (Cile, Perù e Costa Rica, non
per caso tutti membri effettivi o in pectore dell'Alleanza del
Pacifico).
Per affrontare al meglio la sfida orientale,
dovranno diventare più competitivi e fare gruppo. Messico, Colombia,
Perù e Cile hanno intenzione di provarci; gli altri paesi dell’area, a
cominciare dal Brasile, sono un passo indietro.
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