FONTE: LIMES-Rivista di geopolitica
Il Cremlino vuole il controllo dei gasdotti ucraini, ma Yanukovich teme
la perdità di sovranità. Kiev punta a un consorzio tripartito con
l'Ue, ma con la Tymoshenko in carcere l'accordo è lontano. Il
presidente russo non resterà a mani vuote.
di Stefano Grazioli
A gennaio Gazprom ha presentato un conto a Kiev di 7 miliardi di dollari per una bolletta apparentemente non pagata del 2012.
Secondo i contratti take or pay che legano Russia e Ucraina
firmati nel 2009 da Vladimir Putin e Yulia Tymoshenko ci sarebbe ancora
questa somma da saldare, sostengono a Mosca. Non proprio noccioline,
per un paese che sta trattando con il Fondo monetario internazionale un
prestito che si potrebbe aggirare 15 miliardi di dollari. Il presidente
Victor Yanukovich ha comunque detto invece che tutto è regolare e
Naftogaz non deve nulla a nessuno.
Il nodo è rimasto in questi mesi irrisolto, dato che
le posizioni sono immutate, e il botta e risposta non è altro che
l’ennesimo episodio di un muro contro muro che va avanti ormai da quasi
tre anni, da quando cioè Yanukovich è entrato alla Bankova.
Un paio di mesi dopo l'elezione di questi a presidente dell'Ucraina
(febbraio 2010) e appena dopo la firma degli accordi di Kharkiv (aprile
2010), con i quali la Russia si è garantita la permanenza della sua
flotta nella base ucraina di Sebastopoli sino al 2042 concedendo un
ribasso dei prezzi del gas a Kiev, Putin aveva proposto la fusione di
Gazprom e Naftogaz.
Da allora Russia e Ucraina trattano più dietro le quinte che alla luce del sole
per risolvere una questione che negli ultimi vent’anni è stata dominio
di pochi, tra Cremlino, Bankova e il contorno degli oligarchi di turno.
Il gas fa litigare Mosca e Kiev da sempre, non solo
da quando l’Occidente ha scoperto le cosiddette guerre del gas arrivate
dopo la rivoluzione arancione del 2004. Il problema viene da lontano
(già nel 1997 il primo accordo su Sebastopoli si era risolto
sostanzialmente in un baratto) e ora il Cremlino lo vorrebbe concludere
una volta per tutte.
Non potendosi prendere Naftogaz, l’idea sarebbe ora
quella di ottenere il controllo sul sistema dei gasdotti (gts),
lasciando la proprietà all’Ucraina (che per un passo del genere dovrebbe
cambiare la Costituzione) e avendone unicamente la gestione. Putin
offre il solito sconto, Yanukovich non vuole però cedere sovranità e
soprattutto gli oligarchi ucraini non vogliono finire a mani vuote,
spodestati dai loro colleghi russi.
La situazione è quindi in stallo, anche perché Kiev
ha usato sempre la sponda europea per rimanere aggrappata alla sua
linea: Bruxelles potrebbe entrare in un consorzio tripartito per la
modernizzazione del gts e la firma dell’Accordo di associazione
metterebbe a freno i bollori russi.
Il punto è che ormai il tempo stringe. L’Ue ha posto
un ultimatum in vista del vertice di novembre a Vilnius durante il
quale potrebbe essere siglato l’Accordo e ha chiesto passi concreti per
quel riguarda il caso di Yulia Tymoshenko entro maggio. Alla Bankova non
si è mosso quasi nulla e considerando come nuovi processi e nuove
accuse hanno travolto l’ex premier già in carcere è lecito dubitare che
arrivino colpi di scena. La liberazione dell’ex ministro degli interni
Yuri Lutsenko appare più come un contentino a Bruxelles che non come la
volontà di sciogliere il vero nodo.
Con Tymoshenko dietro le sbarre
è difficile la riconciliazione tra Ucraina e Unione Europea, non ci
sarà nessuna associazione e il consorzio a tre sarà quindi un’idea che
rimarrà sulla carta. È probabile che l’opzione dell’Unione euroasiatica
diventi più realistica, soprattutto se non vi saranno accordi con l’Fmi
che vadano a rimpinguare le casse dello Stato. Il duello sarà ancora
quello tra Mosca e Kiev. Come andrà a finire?
Difficile dirlo. È certo però che l’Ucraina si trova in una posizione di svantaggio e le alternative messe in campo non garantiscono una lunga resistenza: lo shale gas
è un miraggio che non si concretizza sul breve periodo e l’import
alternativo a prezzi più bassi da qualche fornitore europeo non può
certo saziare la sete energetica dell’industria oligarchica abituata al
gas facile russo.
Nel medio periodo, con Nordstream a regime [carta] e la costruzione di Southstream [carta],
il transito attraverso l’Ucraina perderà di importanza, così come il
potere contrattuale di Kiev già ridotto al lumicino. All’inizio di
aprile da Mosca è arrivato l’annuncio di riprendere il progetto Yamal 2,
un’altra tegola che potrebbe abbattersi sulla speranza ucraina di
mantenere una lucrativa rilevanza sulla scacchiera energetica europea.
Al Cremlino perciò aspettano pazientemente. È improbabile che alla fine rimangano a mani vuote.
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