mercoledì 28 novembre 2012

Nicaragua, il momento magico di Daniel Ortega.

Fonte: LIMES - Rivista di Geopolitica

Alle elezioni municipali l'opposizione è stata annichilita: al di là della loro regolarità, il presidente è ancora popolare. Buoni rapporti con Chávez ma anche con Fmi e Banca Mondiale. L'Aja non risolve il contenzioso con Bogotá.

Già si era accennato all'assenza del presidente del Nicaragua Daniel Ortega al Vertice Ibero-Americano di Cadice. Una mancata partecipazione dovuta, presumibilmente, alla consegna del Premio Reina Sofía de Poesía Iberoamericana a Ernesto Cardenal.

Il famoso poeta e teologo della liberazione, già ministro della Cultura dello stesso Ortega all’epoca del primo governo sandinista, si trova oggi in rotta di collisione con il presidente, nello stesso momento in cui è divetato un fedelissimo di Ortega quell’Edén Pastora che, dopo essere stato il Comandante Zero della Rivoluzione, era diventato un leader dei Contras. Ma la politica italiana degli ultimi anni ha già avuto abbastanza giravolte perché ci si possa arrogare il diritto di fare dell’ironia sulle giravolte altrui.

Comunque, né la Regina Sofia né Ernesto Cardenal sono riusciti a turbare un momento che, per Daniel Ortega, appare decisamente magico, sia sul piano politico sia su quello economico e diplomatico. Anche se, su quest’ultimo fronte, ha ottenuto un successo che potrebbe forse ritorcerglisi contro.

Partiamo dalla politica: le municipali del 4 novembre hanno visto l'annientamento dell’opposizione. Il Fronte sandinista di liberazione nazionale (Fsln) ha conquistato 134 dei 153 sindaci da eleggere, compreso quello della capitale Managua. Solo udici sindaci sono stati ottenuti dal Partito liberale indipendente e due dal Partito liberale costituzionalista, mentre il resto è andato ad altre formazioni satelliti dei sandinisti. Come percentuali i sandinisti starebbero al 75,60%, i liberali indipendenti al 16,11% e i liberali costituzionalisti al 6,36%. Immediatamente, le proteste dell’opposizione per i presunti brogli hanno acceso scontri e incidenti nel corso dei quali si sono registrati tre morti.

Daniel Ortega, dopo aver conservato uno stampo filo-sovietico per undici anni di governo (1979-1990), fu in seguito costretto ad un bagno di opposizione per altri diciassette, durante i quali ha ostentato un ripensamento socialdemocratico ed è stato colpito da vari scandali che avevano portato alla fuoriuscita dal suo partito di vari leader autorevoli. Ma dopo essere tornato al potere con un forte aiuto (anche economico) di Hugo Chávez nel 2007, si è avvicinato al modello del socialismo del XXI secolo, con le relative tentazioni autoritarie. In particolare, l’opposizione contesta quel Consiglio supremo elettorale (Cse) che è stato ripreso dal modello costituzionale del Venezuela bolivariano, tra le varie accuse tacciato di essere uno strumento di manipolazione delle elezioni da parte del governo.

La prima polemica è sul numero stesso dei votanti: per Roberto Rivas, presidente del Cse, il 57%% dell’elettorato; per gli organismi indipendenti, al di sotto del 50%. Anche gli organismi indipendenti hanno parlato di morti non solo nelle liste dei votanti, ma perfino in quelle dei candidati. La presidentessa del Centro nicaragüense de derechos humanos (Cenidh), Vilma Núñez, ha parlato di una vera e propria “mascherata" contraddistinta dagli elettori che non trovavano i seggi dove erano stati iscritti, di “militarizzazione” degli stessi seggi, della facilità con cui ci si poteva pulire il dito dall’inchiostro che indicava l’aver votato.

Mentre Chávez ha ovviamente esaltato l’ulteriore rafforzamento dei “governi popolari” in America Latina, il Dipartimento di Stato ha parlato di “allarmanti irregolarità” e l’Ue di “comizi opachi”. Sia gli Usa che l’Ue avevano già tagliato i propri aiuti dopo le accuse di brogli elettorali alle municipali di 4 anni fa, quando i sandinisti avevano conquistato 110 sindaci. L’analista e giornalista Sofía Montenegro ha addirittura dichiarato che “il Nicaragua è ormai ufficialmente un regime a partito unico”. Il deputato Wilfredo Navarro, vicepresidente del Partito liberale costituzionalista, riconosce invece che Ortega è effettivamente appoggiato dalla maggioranza dei nicaraguensi, mentre i partiti di opposizione stanno scontando le loro debolezze.

“I partiti della destra hanno perso perché litigano su chi debba essere il loro pseudo-leader e si dimenticano del popolo”. Insomma, quella dei partiti di opposizione è per lui la “cronaca di una morte annunciata”. “L’opposizione non è stata all’altezza della capacità del Fsln e dell'efficacia della sua organizzazione, delle sue risorse, della sua strategia e della continuità nella gestione dei programmi del governo municipale e nazionale”. Dopo essere stato eletto presidente nel 2007 solo grazie alla divisione suicida dell’opposizione, Ortega l’anno scorso si era riconfermato con oltre il 60% delle preferenze e l'Fsln aveva conquistato 62 dei 92 deputati.

Inconsistenza dell’opposizione e autoritarismo a parte, Ortega, dopo essere stato eletto nel paese che nel 2007 era il secondo più povero dell’America Latina preceduto soltanto da Haiti, ha comunque manifestato una certa abilità nel riuscire a combinare il populismo e l’alleanza con Chávez al mantenimento di un intenso commercio con gli Usa, conservando allo stesso tempo buone relazioni sia con gli imprenditori locali sia con gli ambienti finanziari internazionali. Il 15 novembre la Banca Mondiale ha approvato la strategia di appoggio all’Agenda di sviluppo del Nicaragua per i prossimi quattro anni, stanziando una donazione da 11 milioni di dollari, mentre il 21 novembre ha ufficializzato un’alleanza strategica con il Nicaragua per il periodo 2013-17, che permetterà al paese centroamericano di ricevere crediti e donazioni per 50-60 milioni di dollari all’anno nei prossimi 5 anni (per un totale di 300 milioni di dollari).

Anche il Fondo Monetario Internazionale sta negoziando con il Nicaragua un nuovo programma economico. Il Banco Central de Nicaragua prevede per la fine 2012 una crescita di oltre il 4%, con un’inflazione al 5,5-6,5% e un livello di investimenti stranieri destinato a superare il miliardo di dollari del 2011, che era già un record. Il Centro de trámites de las exportaciones (Cetrex) ha registrato nei primi dieci mesi dell’anno una crescita record delle esportazioni di addirittura il 18,1%. In più, Daniel Ortega sta facendo sognare i nicaraguensi con il progetto di un secondo canale interoceanico in concorrenza con Panama, per cui avrebbe ottenuto fondi da russi, cinesi, Chávez e perfino dall’Iran.

Sempre in questa rubrica, a proposito del succitato Canale, era già stata ricordata la disputa di confine con il Costa Rica. Anche se un problema potenzialmente più grave è rappresentato dall'emergenza che c’è tra Nicaragua e Colombia per le isole di San Andrés e Providencia. O meglio San Andrés, Providencia y Santa Catalina; è questo il nome del dipartimento colombiano che corrisponde a un arcipelago di 44 Km² e 73.320 abitanti (dati del censimento del 2005) che si trova a 775 chilometri a nord-ovest dalla costa atlantica della Colombia e a soli 220 chilometri dalle coste orientali del Nicaragua. Rinomato paradiso turistico, San Andrés e Providencia fa parte della Colombia fin dal 23 giugno 1822: data della proclamazione di indipendenza dalla Spagna dell'allora Grande Colombia, che comprendeva anche le attuali Venezuela, Ecuador e Panama.


In effetti, le isole nel 1544 erano state poste dalla Corona spagnola sotto l’autorità della Capitania Generale del Guatemala, in cui era compreso l’attuale Nicaragua, ma nel 1629 furono occupate da pirati inglesi e olandesi. Tra 1670 e 1680 San Andrés era stata base del famoso pirata Morgan. Solo nel 1786 la Spagna era riuscita a ottenerne la restituzione, anche se la costa orientale del Nicaragua era rimasta sotto il controllo effettivo di coloni inglesi e indios; per cui, essendo impossibile un effettivo controllo dell’arcipelago dal Guatemala, nel 1803 la Corona spagnola aveva posto sia le isole sia il Nicaragua orientale sotto il controllo del Viceregno di Nueva Granada, poi trasformatosi appunto nella Grande Colombia, con cui le comunicazioni erano più facili. Il Nicaragua Orientale era invece rimasto sotto il controllo degli inglesi e dei loro alleati e nel 1834 vi era stato costituito il regno di Mosquitia, sotto protettorato britannico. Solo nel 1860 Londra avrebbe riconosciuto la sovranità formale del Nicaragua e solo nel 1894 il Nicaragua sarebbe riuscito effettivamente a occupare il territorio.

Da questa storia, l’arcipelago ha ereditato una popolazione di afro-americani che parlano un dialetto di origine inglese, che hanno cognomi anglo-sassoni e che dal punto di vista culturale non hanno quasi a nulla a che fare con le popolazioni della Colombia continentale e del Nicaragua occidentale. Qualche affinità potrebbe esserci con gli abitati del Nicaragua orientale, un altro paese rispetto al Nicaragua occidentale. È un’affinità molto più marcata con le popolazioni delle isole anglofone dei Caraibi, in particolare la Giamaica. Tuttavia, in quasi due secoli di convivenza, i santandreasani si sono strettamente legati all’identità colombiana, sposandosi in molti casi con colombiani del Continente ed emigrando nella Colombia continentale, dove hanno fama di genti dalla spiccata vocazione commerciale. La rivendicazione del Nicaragua è insomma annosa, ma assolutamente priva di corrispondenze tra gli isolani.

In ogni caso, se un eventuale referendum nell’arcipelago vedesse una scelta totalitaria per la Colombia, resterebbe più complesso il problema della delimitazione dei confini marittimi, che difatti nel 2001 è arrivato alla Corte internazionale di giustizia dell’Aja, dopo che il governo di Managua ha disconosciuto un trattato del 1928 a suo dire imposto in un periodo di occupazione militare Usa. Occorre tenere presente che il ricorso non era stato fatto da Ortega, ma da un governo di destra: in Nicaragua la rivendicazione è condivisa praticamente da tutti. Il 19 novembre la Corte ha preso una decisione che, a seconda dei punti di vista, potrebbe essere definita salomonica o pilatesca, ma che ha senza dubbio alterato il precedente status quo mantenendo tutte le isole e isolotti sotto il controllo della Colombia, assegnando al Nicaragua una importante porzione di mare particolarmente pescoso; per non parlare della possibilità di ricerche petrolifere, che ormai sono effettuate in tutti i Caraibi.

“La Colombia e non il Nicaragua ha la sovranità dei cayos (isolotti corallini) Albuquerque, Este Sudeste, Roncador, Serrana, Quitasueño, Serranilla y Bajonuevo”: così la sentenza. Ma al Nicaragua spettano l’area marittima oltre le 12 miglia dei cayos di Serrana e Quitasueño al nord e un altro spazio a sud di Alburquenque e Este Sudeste, per un totale di 100 mila km² di mare.

“Difficilmente poteva andare meglio”, ha commentato l’agente del Nicaragua presso la Corte. In un clima di unità nazionale, Ortega ha festeggiato assieme ai suoi due predecessori, i liberali costituzionalisti Arnoldo Alemán e Enrique Bolaños. Riconoscendo che il nuovo confine renderebbe ai pescatori di San Andrés la vita impossibile, ha convenuto che sarà loro consentito di recarsi nelle acque territoriali nicaraguensi liberamente, “visto che li sentiamo come nicaraguensi anche loro”.

Al trionfalismo di Ortega ha corrisposto l’ira del governo colombiano, preso in contropiede da questa sentenza proprio nel momento in cui è impegnato nella complessa trattativa di pace con le Farc. Il ministro degli Esteri María Ángela Holguín ha offerto le sue dimissioni: “dovrebbero ricorrere al tribunale celeste” avevano ironizzato in Nicaragua. Dati tali presupposti, il presidente Juan Manuel Santos ha deciso di denunciare quel Patto di Bogotá del 1948 che imponeva alla Colombia di accettare il responso della Corte, accusandola di aver fatto “gravi errori”. Nel frattempo, le sei navi da guerra presenti a sorvegliare quello che per L’Aja non è più la frontiera marittima della Colombia presidiano quelle che per Managua sono ormai acque nicaraguensi. Al di là del fatto che l’ex presidente Álvaro Uribe Vélez, da tempo in rotta col suo successore, si è immediatamente posto alla testa degli oltranzisti, al Congresso colombiano manca una maggioranza in grado di votare la ratifica imposta dalla Costituzione.

La Corte Centroamericana di Giustizia ha appoggiato il Nicaragua, dichiarando il comportamento colombiano “inaudito”. Ma il governo colombiano, dopo aver constatato che il Nicaragua non si accontenterebbe e passerebbe a chiedere un confine di 200 miglia dalla piattaforma continentale, sta ora cercando di contattare tutti gli altri paesi che rischiano di trovarsi danneggiati dalla sentenza: Costa Rica, Panama, Giamaica e gli Stati Uniti. A sua volta, Ortega potrebbe chiedere la solidarietà dell’Alba, esponendo però Chávez a una scelta spinosa, visto il suo recente riavvicinamento strategico a Santos. Lo stesso Ortega, però, riconosce di non avere il “potere militare” di sloggiare la Colombia dalle sue posizioni, se questa si rifiuta di abbandonarle.

di Maurizio Stefanini
(28/11/2012)

Nessun commento:

Posta un commento