Fonte: LIMES-Rivista di geopolitica
di Andrea Califano
L'impresa gran-nazionale accoglie Guatemala e Honduras. Anche per il
successore di Chávez si tratta di un utile strumento di politica estera.
L'ideologia alla base: nazionalizzare e condividere le risorse è
un'alternativa migliore del liberismo made in Usa.
Maduro incassa il pieno sostegno dei paesi membri di Petrocaribe:
questo fine settimana si è svolto il Settimo vertice della impresa
gran-nazionale fondata nel 2005 per la gestione regionale delle immense
risorse energetiche del Venezuela.
Nel corso dell’incontro è stata ratificata l’adesione di Honduras e Guatemala
come membri a tutti gli effetti, il neo eletto presidente venezuelano è
stato legittimato come nuovo interlocutore degli Stati partecipanti e
tutti i membri si sono impegnati a lavorare alla creazione della Zona
economica di Petrocaribe (Zep) per intensificare le relazioni
commerciali, mostrando così la volontà di superare definitivamente la
natura semplicemente energetica dell’accordo.
A ciò si sono aggiunti i consueti proclami unionisti
e un generico impegno rivolto allo sviluppo di reti turistiche e di
trasporto regionali: “È imperdonabile che un cittadino del Suriname, per
andare a Caracas, debba passare per gli Usa”, ha detto Maduro nel corso del meeting.
La cosiddetta rivoluzione bolivariana è a un punto critico:
sarà in grado di sopravvivere alla morte del proprio leader? È una
domanda che non riguarda il solo Venezuela. L’attività politica di
Chávez è stata ispirata dal liberatore Bolivar anche nella creazione di
organizzazioni e istituzioni regionali.
Tra queste spicca, per consonanza con il radicalismo attuato in politica interna,
l’Alleanza bolivariana per i popoli di nostra America (Alba), nel cui
telaio si inserisce l’impresa gran-nazionale (ign) Petrocaribe. In
breve: l’enorme ricchezza petrolifera venezuelana viene messa al
servizio anche dello sviluppo degli Stati vicini.
Non si tratta di mero assistenzialismo: il Venezuela
ha raggiunto in pochi anni un ruolo prominente a livello regionale,
come testimoniano anche le votazioni all’Onu, in cui sempre più i paesi
della regione si schierano a fianco della Repubblica Bolivariana. Per i
detrattori, Chávez ha sperperato risorse nazionali per fini personali e
per foraggiare l’economia di Cuba, ancora in cerca di un sostituto al
partner sovietico. Per i sostenitori, la strategia va inquadrata nella
volontà unionista e nella cornice del cosiddetto commercio giusto, ossia
della condivisione delle risorse alla base dell’Alba.
Il Venezuela ha le più grandi riserve accertate di petrolio nel mondo
- anche più dell’Arabia Saudita se si tiene conto anche del petrolio
extra-pesante, più costoso da raffinare. Uno dei primi atti del primo
mandato di Chávez fu l’approvazione di una nuova costituzione in cui
venne sancita l’inalienabilità della proprietà statale dell’oro nero.
Dopo il tentato colpo di Stato subìto da Chávez nel 2002 e i seguenti 3
mesi di sciopero generale, il leader bolivariano decise che era il
momento di una stretta: il controllo governativo sulla società
petrolifera divenne più marcato, mentre iniziò a farsi largo il
principio che parte dei ricavi della vendita di petrolio fossero
obbligatoriamente destinati a politiche sociali.
Nazionalizzazione e ricchezza energetica come diretto strumento del “buen vivir”
sono, seguendo i documenti ufficiali, i cardini alla base anche della
gestione regionale del petrolio venezuelano messa in atto attraverso
Petrocaribe, una sorta di consorzio a controllo pubblico condiviso da
più Stati. Nell’idea dei membri dell’Alba, le ign sarebbero infatti la
risposta pubblica dell'America Latina alla globalizzazione liberista
lasciata in mano ad attori privati multinazionali.
Nel suo sesto anno di vita (il 2011), Petrocaribe ha
gestito un commercio medio di 191 mila barili al giorno: considerando
il prezzo medio del petrolio dello stesso periodo, il fatturato
giornaliero è stato di oltre 19 milioni di dollari. I paesi caraibici
con cui il Venezuela ha deciso di spartire la propria ricchezza a
condizioni a dir poco di favore, con “l’obiettivo fondamentale di
contribuire alla sicurezza energetica, allo sviluppo socio-economico e
all’integrazione dei paesi caraibici, attraverso l’uso sovrano delle
risorse energetiche”, sono 18. Alcuni elementi fanno pensare che
l’ufficialità dei trattati non sia solo vuota retorica.
Petrocaribe funziona e sta crescendo, non è rimasto lettera morta;
i dubbi riguardano semmai la direzione in cui si muove. Anche se fosse
un mezzo per accrescere il potere venezuelano-chavista nella regione, o
l’unico mezzo di sopravvivenza a disposizione di paesi strangolati dalla
crisi, il meccanismo di gestione regionale del petrolio ha reso questa
ign uno dei più importante finanziatori della regione caraibica.
Potrebbe valere a proposito di Petrocaribe il paragone con la Cina:
non a livello quantitativo ma qualitativo. Chi ha certezze sugli
obiettivi latinoamericani di Pechino? Nessuno; tuttavia è innegabile che
essa abbia offerto un’alternativa finanziaria agli Usa, le cui
intenzioni nell'emisfero sono peraltro altrettanto dibattute.
Le condizioni di vendita di Petrocaribe sono tali
che a economie tra le maggiori della regione, come quelle di Giamaica e
Nicaragua, è stato fatto un credito che il Fondo monetario
internazionale stima pari a 5 o 6 punti di pil. Come se non bastasse, il
Venezuela si è impegnato a depositare al momento della firma di ogni
accordo di vendita parte del pagamento - che spetta al contraente
effettuare nel corso dei successivi 25 anni - nel Fondo Alba-Caribe, un
altro strumento di assistenza. I compratori pagano inizialmente tra il
40 e il 50% dell’acquisto, poi a 2 anni di sospensione seguono 23 anni
in cui devono rimborsare il credito con un interesse lillipuziano
dell’1%. Parte del conto viene saldato direttamente in beni e servizi:
il commercio compensato è uno dei cardini dell’Alba.
Il Venezuela tenta in questo modo anche di trovare nuovi sbocchi per la vendita di petrolio:
gli Stati Uniti, nonostante le reciproche continue aggressioni verbali e
diplomatiche, comprano quasi la metà del greggio di Caracas, mentre per
il momento solo un decimo del totale è amministrato da Petrocaribe.
L’indotto generato da Petrocaribe ha stimolato la formazione di altre 13 ign,
contribuendo all’emergere di un grande agglomerato di monopolio
pubblico lungo la catena regionale del petrolio. L’obiettivo,
esplicitamente dichiarato, è scalzare le multinazionali, renderle non
competitive, forzarle fuori dal mercato. Per questo sono in cantiere
quattro raffinerie a Cuba, in Giamaica, in Repubblica Dominicana e in
Nicaragua, così come si sta pianificando la costruzione di una flotta
propria di Petrocaribe. A torto o a ragione, questo insieme di Stati,
non necessariamente sostenitori dell’utopia bolivariana rilanciata da
Chávez, ritiene la gestione pubblica di un settore così strategico un
passo fondamentale per ottenere reale indipendenza e sostanziale
autonomia.
Con lo stesso intento alcuni di essi hanno dato vita a una moneta comune,
il sucre. Usata nel 2012 per 1,1 miliardi di dollari di scambi, essa è
ancora ben lontana dal suo ambizioso obiettivo di contendere il
monopolio del dollaro nelle trattative tra Stati latinoamericani.
Un’iniziativa pretenziosa e ridicola? Può darsi, ma è da tener presente
come il sucre sia nato solo nel 2010. Insomma, al di là degli appelli
retorici e del velo di ideologia, i Caraibi sembrano essersi risvegliati
dal torpore. Gli inizi sono controversi, i possibili esiti incerti.
Soprattutto dopo la morte di chi aveva un disegno utopico in mente e,
nonostante la tendenza a dividere e polarizzare, la capacità di
coinvolgere gli Stati vicini nel progetto unionista. Con in mano
qualcosa di più della (forse indispensabile) retorica per dare sostanza
alla propria vis polemica: i cordoni della borsa.
I paesi di Petrocaribe si prestano infatti al gioco retorico venecubano
- e spesso lo alimentano - in cambio di certezze: da qui al 29 giugno,
data del prossimo vertice, Maduro dovrà ripagare il loro sostegno riprendendo in mano la situazione interna a Caracas, dimostrando così di poter garantire uno stabile flusso di oro nero ai suoi partner regionali.
Nessun commento:
Posta un commento