giovedì 9 maggio 2013

Il Venezuela del nuovo presidente Maduro punta su Petrocaribe.

Fonte: LIMES-Rivista di geopolitica
di Andrea Califano

L'impresa gran-nazionale accoglie Guatemala e Honduras. Anche per il successore di Chávez si tratta di un utile strumento di politica estera. L'ideologia alla base: nazionalizzare e condividere le risorse è un'alternativa migliore del liberismo made in Usa.

Maduro incassa il pieno sostegno dei paesi membri di Petrocaribe: questo fine settimana si è svolto il Settimo vertice della impresa gran-nazionale fondata nel 2005 per la gestione regionale delle immense risorse energetiche del Venezuela.

Nel corso dell’incontro è stata ratificata l’adesione di Honduras e Guatemala come membri a tutti gli effetti, il neo eletto presidente venezuelano è stato legittimato come nuovo interlocutore degli Stati partecipanti e tutti i membri si sono impegnati a lavorare alla creazione della Zona economica di Petrocaribe (Zep) per intensificare le relazioni commerciali, mostrando così la volontà di superare definitivamente la natura semplicemente energetica dell’accordo.

A ciò si sono aggiunti i consueti proclami unionisti e un generico impegno rivolto allo sviluppo di reti turistiche e di trasporto regionali: “È imperdonabile che un cittadino del Suriname, per andare a Caracas, debba passare per gli Usa”, ha detto Maduro nel corso del meeting.

La cosiddetta rivoluzione bolivariana è a un punto critico: sarà in grado di sopravvivere alla morte del proprio leader? È una domanda che non riguarda il solo Venezuela. L’attività politica di Chávez è stata ispirata dal liberatore Bolivar anche nella creazione di organizzazioni e istituzioni regionali.

Tra queste spicca, per consonanza con il radicalismo attuato in politica interna, l’Alleanza bolivariana per i popoli di nostra America (Alba), nel cui telaio si inserisce l’impresa gran-nazionale (ign) Petrocaribe. In breve: l’enorme ricchezza petrolifera venezuelana viene messa al servizio anche dello sviluppo degli Stati vicini.

Non si tratta di mero assistenzialismo: il Venezuela ha raggiunto in pochi anni un ruolo prominente a livello regionale, come testimoniano anche le votazioni all’Onu, in cui sempre più i paesi della regione si schierano a fianco della Repubblica Bolivariana. Per i detrattori, Chávez ha sperperato risorse nazionali per fini personali e per foraggiare l’economia di Cuba, ancora in cerca di un sostituto al partner sovietico. Per i sostenitori, la strategia va inquadrata nella volontà unionista e nella cornice del cosiddetto commercio giusto, ossia della condivisione delle risorse alla base dell’Alba.

Il Venezuela ha le più grandi riserve accertate di petrolio nel mondo - anche più dell’Arabia Saudita se si tiene conto anche del petrolio extra-pesante, più costoso da raffinare. Uno dei primi atti del primo mandato di Chávez fu l’approvazione di una nuova costituzione in cui venne sancita l’inalienabilità della proprietà statale dell’oro nero. Dopo il tentato colpo di Stato subìto da Chávez nel 2002 e i seguenti 3 mesi di sciopero generale, il leader bolivariano decise che era il momento di una stretta: il controllo governativo sulla società petrolifera divenne più marcato, mentre iniziò a farsi largo il principio che parte dei ricavi della vendita di petrolio fossero obbligatoriamente destinati a politiche sociali.

Nazionalizzazione e ricchezza energetica come diretto strumento del “buen vivir” sono, seguendo i documenti ufficiali, i cardini alla base anche della gestione regionale del petrolio venezuelano messa in atto attraverso Petrocaribe, una sorta di consorzio a controllo pubblico condiviso da più Stati. Nell’idea dei membri dell’Alba, le ign sarebbero infatti la risposta pubblica dell'America Latina alla globalizzazione liberista lasciata in mano ad attori privati multinazionali.

Nel suo sesto anno di vita (il 2011), Petrocaribe ha gestito un commercio medio di 191 mila barili al giorno: considerando il prezzo medio del petrolio dello stesso periodo, il fatturato giornaliero è stato di oltre 19 milioni di dollari. I paesi caraibici con cui il Venezuela ha deciso di spartire la propria ricchezza a condizioni a dir poco di favore, con “l’obiettivo fondamentale di contribuire alla sicurezza energetica, allo sviluppo socio-economico e all’integrazione dei paesi caraibici, attraverso l’uso sovrano delle risorse energetiche”, sono 18. Alcuni elementi fanno pensare che l’ufficialità dei trattati non sia solo vuota retorica.

Petrocaribe funziona e sta crescendo, non è rimasto lettera morta; i dubbi riguardano semmai la direzione in cui si muove. Anche se fosse un mezzo per accrescere il potere venezuelano-chavista nella regione, o l’unico mezzo di sopravvivenza a disposizione di paesi strangolati dalla crisi, il meccanismo di gestione regionale del petrolio ha reso questa ign uno dei più importante finanziatori della regione caraibica.


Potrebbe valere a proposito di Petrocaribe il paragone con la Cina: non a livello quantitativo ma qualitativo. Chi ha certezze sugli obiettivi latinoamericani di Pechino? Nessuno; tuttavia è innegabile che essa abbia offerto un’alternativa finanziaria agli Usa, le cui intenzioni nell'emisfero sono peraltro altrettanto dibattute.

Le condizioni di vendita di Petrocaribe sono tali che a economie tra le maggiori della regione, come quelle di Giamaica e Nicaragua, è stato fatto un credito che il Fondo monetario internazionale stima pari a 5 o 6 punti di pil. Come se non bastasse, il Venezuela si è impegnato a depositare al momento della firma di ogni accordo di vendita parte del pagamento - che spetta al contraente effettuare nel corso dei successivi 25 anni - nel Fondo Alba-Caribe, un altro strumento di assistenza. I compratori pagano inizialmente tra il 40 e il 50% dell’acquisto, poi a 2 anni di sospensione seguono 23 anni in cui devono rimborsare il credito con un interesse lillipuziano dell’1%. Parte del conto viene saldato direttamente in beni e servizi: il commercio compensato è uno dei cardini dell’Alba.

Il Venezuela tenta in questo modo anche di trovare nuovi sbocchi per la vendita di petrolio: gli Stati Uniti, nonostante le reciproche continue aggressioni verbali e diplomatiche, comprano quasi la metà del greggio di Caracas, mentre per il momento solo un decimo del totale è amministrato da Petrocaribe.

L’indotto generato da Petrocaribe ha stimolato la formazione di altre 13 ign, contribuendo all’emergere di un grande agglomerato di monopolio pubblico lungo la catena regionale del petrolio. L’obiettivo, esplicitamente dichiarato, è scalzare le multinazionali, renderle non competitive, forzarle fuori dal mercato. Per questo sono in cantiere quattro raffinerie a Cuba, in Giamaica, in Repubblica Dominicana e in Nicaragua, così come si sta pianificando la costruzione di una flotta propria di Petrocaribe. A torto o a ragione, questo insieme di Stati, non necessariamente sostenitori dell’utopia bolivariana rilanciata da Chávez, ritiene la gestione pubblica di un settore così strategico un passo fondamentale per ottenere reale indipendenza e sostanziale autonomia.

Con lo stesso intento alcuni di essi hanno dato vita a una moneta comune, il sucre. Usata nel 2012 per 1,1 miliardi di dollari di scambi, essa è ancora ben lontana dal suo ambizioso obiettivo di contendere il monopolio del dollaro nelle trattative tra Stati latinoamericani. Un’iniziativa pretenziosa e ridicola? Può darsi, ma è da tener presente come il sucre sia nato solo nel 2010. Insomma, al di là degli appelli retorici e del velo di ideologia, i Caraibi sembrano essersi risvegliati dal torpore. Gli inizi sono controversi, i possibili esiti incerti. Soprattutto dopo la morte di chi aveva un disegno utopico in mente e, nonostante la tendenza a dividere e polarizzare, la capacità di coinvolgere gli Stati vicini nel progetto unionista. Con in mano qualcosa di più della (forse indispensabile) retorica per dare sostanza alla propria vis polemica: i cordoni della borsa.

I paesi di Petrocaribe si prestano infatti al gioco retorico venecubano - e spesso lo alimentano - in cambio di certezze: da qui al 29 giugno, data del prossimo vertice, Maduro dovrà ripagare il loro sostegno riprendendo in mano la situazione interna a Caracas, dimostrando così di poter garantire uno stabile flusso di oro nero ai suoi partner regionali.



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