di Thierry Meyssan
Articolo pubblicato il 26 gennaio 2013 sul settimanale russo Odnako (rivista vicino a Vladimir Putin)
- Nel 1916, il Regno Unito e la Francia si divisero il Medio Oriente (accordo Sykes-Picot). Quasi un secolo dopo, gli Stati Uniti e la Russia stanno discutendo un nuovo piano di partizione che gli permetterebbe di sgomberare a loro profitto l’influenza franco-britannica.
Il presidente Obama è in procinto
di cambiare completamente la sua strategia internazionale, nonostante
l’opposizione che il suo progetto genera nella propria amministrazione.
I fatti sono semplici. Gli Stati
Uniti stanno diventando indipendenti sul piano energetico, grazie al
rapido sfruttamento del gas di scisto e delle sabbie bituminose.
Pertanto la Dottrina Carter (1980) per garantirsi l’accesso al petrolio
del Golfo è un imperativo della sicurezza nazionale finito. Come del
resto l’accordo del Quincy (1945) secondo cui Washington si impegnava a
proteggere la dinastia dei Saud se gli avesse garantito l’accesso al
petrolio della penisola arabica. I tempi sono maturi per un ritiro
massiccio e per trasferire i GI in Estremo Oriente, a contenere
l’influenza cinese.
D’altra parte, tutto deve essere
fatto per evitare un’alleanza militare sino-russa. Dovrebbero pertanto
essere fornite delle opportunità alla Russia per allontanarsi
dall’Estremo Oriente.
Infine, Washington soffoca per le
sue relazioni con Israele, troppo strette. Per gli Stati Uniti esse
sono estremamente costose, ingiustificabili a livello internazionale,
ritrovandosi contro tutte le popolazioni musulmane. Inoltre, dovrebbe
essere chiaramente punita Tel Aviv, che ha interferito in modo
sorprendente nella campagna elettorale presidenziale degli Stati Uniti,
mettendosi sempre più contro il candidato che ha vinto.
Questi sono i tre elementi che
hanno portato Barack Obama e i suoi consiglieri a proporre un patto a
Vladimir Putin, Washington implicitamente riconosce di aver fallito in
Siria, ed è pronta a lasciare che la Russia s’installi in Medio Oriente
senza contropartita, e di condividerne anche il controllo della regione.
E’ con questo spirito che è stato
scritto da Kofi Annan, a Ginevra, il Comunicato del 30 giugno 2012. A
quel tempo si trattava solo di trovare una soluzione alla questione
siriana. Ma l’accordo è stato subito sabotato da elementi interni
dell’amministrazione Obama. Lasciando che gli europei facessero
trapelare alla stampa diversi elementi della guerra segreta in Siria,
tra cui l’esistenza di un ordine esecutivo presidenziale che impone alla
CIA di schierare propri uomini e mercenari sul terreno. Incastrato,
Kofi Annan si era dimesso dal suo incarico di mediatore. Da parte sua,
la Casa Bianca ha tenuto un basso profilo per non manifestare le
divisioni durante la campagna per la rielezione di Barack Obama.
Nell’ombra, tre gruppi si opponevano al comunicato di Ginevra
• Gli agenti coinvolti nella guerra segreta;
• Le unità militari incaricate di contrastare la Russia
• I relè d’Israele.
• Gli agenti coinvolti nella guerra segreta;
• Le unità militari incaricate di contrastare la Russia
• I relè d’Israele.
Il giorno dopo la sua elezione,
Barack Obama ha iniziato la Grande Purga. La prima vittima è stato il
generale David Petraeus, pianificatore della guerra segreta in Siria.
Cadendo in una trappola sessuale tesa da un ufficiale dei servizi
segreti militari, il direttore della CIA è stato costretto a dimettersi.
Poi una dozzina di ufficiali superiori sono stati posti sotto inchiesta
per corruzione. Tra questi, il comandante supremo della NATO
(l’ammiraglio James G. Stravidis) e il suo successore designato (general
John R. Allen), così come il comandante della Missile Defense Agency,
cioè lo “Scudo missile “, (generale Patrick J. O’Reilly). Infine, Susan
Rice e Hillary Clinton sono state oggetto di attacchi feroci per
l’occultamento al Congresso degli aspetti della morte di Chris Stevens
l’ambasciatore ucciso a Bengasi da un gruppo islamico probabilmente
sponsorizzato dal Mossad.
Dopo che le sue diverse
opposizioni interne sono state disintegrate o paralizzate, Barack Obama
ha annunciato un profondo rinnovamento della sua squadra. In primo
luogo, John Kerry al dipartimento di Stato. Un sostenitore dichiarato
della cooperazione con Mosca su temi d’interesse comune. E’ anche un
amico personale di Bashar al-Assad. Poi Chuck Hagel al dipartimento
della Difesa. È un sostenitore della NATO, ma un realista. Ha sempre
denunciato la megalomania dei neoconservatori e il loro sogno
sull’imperialismo globale. Si tratta di nostalgici della Guerra Fredda,
quel periodo benedetto in cui Washington e Mosca condividevano il mondo a
basso costo. Con il suo amico Kerry, Hagel ha organizzato nel 2008 un
tentativo di negoziare la restituzione da Israele delle alture del Golan
alla Siria. Infine, John Brennan alla CIA. Questo assassino a sangue
freddo è convinto che il vero punto debole degli Stati Uniti è avere
creato e sviluppato il jihadismo internazionale. La sua ossessione è
eliminare il salafismo e l’Arabia Saudita così, in ultima analisi,
alleviando il Nord del Caucaso russo.
Allo stesso tempo, la Casa Bianca
ha continuato i suoi negoziati con il Cremlino. Ciò che dovrebbe essere
una soluzione semplice per la Siria è diventato un progetto molto più
ampio di riorganizzazione e condivisione del Medio Oriente.
Ricordiamo che nel 1916, dopo
otto mesi di negoziati, il Regno Unito e la Francia si divisero in
segreto il Medio Oriente (accordo Sykes-Picot). Il contenuto di questi
accordi fu rivelato al mondo dai bolscevichi quando andarono al potere.
Ma ha persistito per quasi un secolo. Ciò che l’amministrazione Obama
sta prendendo in considerazione, è un rimodellamento del Medio Oriente
per il XXI secolo, sotto l’egida degli Stati Uniti e della Russia.
Negli Stati Uniti, anche se Obama
succede a se stesso, non può che gestire gli affari correnti. Non
riprenderà le sue massime funzioni che al giuramento del 21 gennaio. Nei
prossimi giorni, il Senato sentirà Hillary Clinton sul mistero
dell’omicidio dell’ambasciatore in Libia (23 gennaio), poi sentirà John
Kerry per confermarne la nomina (24 gennaio). Subito dopo i 5 membri
permanenti del Consiglio di sicurezza si riuniranno a New York per
discutere le proposte di Lavrov-Burns sulla Siria.
Queste includono la condanna
delle interferenze esterne, e il dispiegamento di una forza di pace
delle Nazioni Unite, appellandosi a diversi giocatori, in modo tale da
formare un governo di unità nazionale e pianificare le elezioni. La
Francia dovrebbe opporsi, ma senza la minaccia di usare il veto contro
il suo padrone degli Stati Uniti.
Il piano originale prevedeva che
la forza delle Nazioni Unite dovrebbe essere composta principalmente da
soldati dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO).
Il presidente Bashar al-Assad rimane al potere. Negoziando subito una
carta nazionale con i leader dell’opposizione non armata scelti con
l’approvazione di Mosca e Washington, e che avrebbero adottato questa
carta con un referendum sotto il controllo degli osservatori.
Questo accordo è stato preparato
molto tempo fa dal generale Hassan Tourkmani (assassinato il 18 luglio
2012) e Nikolaj Bordjuzha. Una dichiarazione comune dei ministri degli
esteri della CSTO è stata firmata il 28 settembre 2012 e il protocollo è
stato firmato dal dipartimento delle Nazioni Unite per il mantenimento
della pace e la CSTO, che adesso ha gli stessi poteri della NATO.
Esercitazioni congiunte UN/CSTO si sono svolte in Kazakhstan sotto il
titolo “Fratellanza Inviolabile” (dall’8 al 17 ottobre 2012). Infine, un
piano di schieramento dei “colbacchi blu” è stato discusso al Comitato
militare delle Nazioni Unite (8 dicembre).
Una volta stabilizzata la Siria,
una conferenza internazionale si terrà a Mosca sulla pace globale tra
Israele e i suoi vicini. Gli Stati Uniti ritengono che non sia possibile
negoziare una pace separata tra Israele e Siria, con i siriani che
esigono prima una soluzione della Palestina nel nome del panarabismo. Ma
non è possibile negoziare una pace con i palestinesi, perché sono molto
divisi, a meno che la Siria venga incaricata a costringerli a
rispettare un accordo di maggioranza. Pertanto, i negoziati dovranno
essere globali, sul modello della Conferenza di Madrid (1991). In questo
caso, Israele si ritirerebbe il più possibile nei suoi confini del
1967. I Territori Palestinesi e la Giordania si fonderebbero per formare
uno stato palestinese unico. Il suo governo verrebbe affidato ai
Fratelli musulmani che renderebbero la soluzione accettabile agli
attuali governi arabi. Poi, le alture del Golan sarebbero restituite
alla Siria in cambio dell’abbandono del Mare di Galilea, lungo le linee
previste una volta dai negoziati di Shepherdstown (1999). La Siria
garantirebbe il rispetto dei trattati da parte giordano-palestinese.
Come in un domino, ci sarebbe poi
la questione curda. L’Iraq verrebbe smantellato per dare vita a un
Kurdistan indipendente e la Turchia sarebbe destinata a diventare uno
Stato federale concedendo l’autonomia alla regione curda.
Gli Stati Uniti, vorrebbero
estendere il rimodellamento sacrificando l’Arabia Saudita, diventata
inutile. Il paese sarebbe diviso in tre, mentre alcune province
verrebbero riunite alla federazione giordano-palestinese o all’Iraq
sciita, secondo un vecchio piano del Pentagono (“Taking Saudi out of Arabia“,
10 luglio 2002). Questa opzione permetterebbe a Washington di lasciare
un ampio spazio all’influenza di Mosca, senza dover sacrificare parte
della propria influenza. Lo stesso comportamento è stato osservato
quando il FMI, a Washington, decise di aumentare i diritti di voto dei
paesi BRICS. Gli Stati Uniti non fecero nulla, cedendo il loro potere e
costringendo gli europei a rinunciare a parte dei loro voti in fare dei
BRICS.
Questo accordo politico-militare
verrebbe accompagnato da un accordo energetico-economico, sul vero
problema della guerra contro la Siria, in cui la maggior parte dei
giocatori cerca di conquistarne i giacimenti di gas. Grandi giacimenti,
infatti, sono stati scoperti nel sud del Mediterraneo e in Siria.
Posizionando le sue truppe nel Paese, Mosca si garantirebbe un controllo
più ampio sul mercato del gas, nei prossimi anni.
Il dono della nuova
amministrazione Obama a Vladimir Putin raddoppia di valore. Non solo
allontana dall’Estremo Oriente i russi, ma viene anche usato per
neutralizzare Israele. Se un milione di israeliani ha la doppia
cittadinanza degli Stati Uniti, un altro milione è di lingua russa.
Installatesi in Siria, le truppe russe dissuaderanno gli israeliani
dall’attaccare gli arabi e gli arabi dall’attaccare Israele. Pertanto,
gli Stati Uniti non avrebbero più bisogno di spendere ingenti somme per
la sicurezza della colonia ebraica.
Il nuovo accordo richiederebbe
che gli Stati Uniti riconoscano, infine, il ruolo regionale dell’Iran.
Tuttavia, Washington pretenderebbe che Teheran si ritiri dall’America
Latina dove ha stabilito relazioni, tra cui il Venezuela. Ignoriamo la
reazione iraniana a questo aspetto dell’accordo, ma Mahmoud Ahmadinejad è
già ansioso di sapere se Barack Obama avrebbe fatto tutto quanto in suo
potere per aiutarlo a prendere le distanze da Tel Aviv.
I perdenti in questo piano sono,
in primo luogo, la Francia e il Regno Unito, la cui influenza si
affievolisce. Quindi Israele, privato dell’influenza negli Stati Uniti e
restituito al giusto status di piccolo Stato. Infine, l’Iraq verrebbe
smantellato. E forse l’Arabia Saudita, che ha lottato per settimane per
venire a patti con gli uni e con gli altri per sfuggire al destino che
gli è stato promesso. Vi sono anche dei vincitori. Prima di tutto Bashar
al-Assad, ieri indicato quale criminale contro l’umanità
dall’occidente, e domani glorificato come il vincitore sugli islamisti. E
soprattutto Vladimir Putin, per la sua tenacia durante il conflitto,
riuscendo a far uscire la Russia dal suo “contenimento”, riaprendola al
Mediterraneo e al Medio Oriente, e riconoscendole la supremazia sul
mercato del gas.
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