Fonte. LIMES
La semplificazione delle norme per viaggiare all'estero non giunge come
una sopresa, ma arriva in un momento particolare: dopo la vittoria di
Chávez in Venezuela, prima delle elezioni in Usa, in coincidenza con il
processo allo spagnolo Carromero. L'efficacia del provvedimento è da
verificare.
Il Granma del 16 ottobre, organo del Partico comunista di Cuba
(Pcc) ripreso dai giornali di tutto il mondo, annuncia nuove norme
migratorie per i cittadini dell’isola, che entreranno in vigore dal 14
gennaio 2013.
Viene tolto l’obbligo del permesso di viaggio all’estero e della lettera d’invito,
una procedura che, oltre ad essere ingiusta, era costosa; per di più,
il frequente rifiuto non veniva motivato. Ora i cubani potranno restare
all’estero fino a 24 mesi prorogabili. Una buona notizia che non
mancherà di essere festeggiata, ma che vale la pena di approfondire.
Non è un colpo di scena: la misura era attesa da tempo,
ripetutamente indicata come possibile e allo studio, in particolare
dopo il sesto Congresso del Pcc dell’aprile 2011, che ha sancito il
processo di timide e lente riforme di Raúl Castro e dei suoi
gerontocrati, un «aggiornamento del socialismo» con parziali riordini in
campo economico (commercializzazione di prodotti prima inaccessibili,
cooperativismo, apertura all’iniziativa privata e ad alcune
liberalizzazioni, smantellamento di apparati pubblici fallimentari,
introduzione del sistema tributario), in un quadro che resta però
saldamente di dirigismo statale e senza pluralismo.
Mentre il primo mandato di Barack Obama si limitava ad ammorbidire alcune restrizioni su viaggi e rimesse,
a Cuba i rimpasti di governo si sono susseguiti, come pure le campagne
contro il peculato, le malversazioni, la negligenza. Ed è continuata la
grave penuria, non solo alimentare, per la grande maggioranza della
popolazione. Ora arriva questo cambiamento, ma la sua effettiva
portata, di cui molti dubitano, è tutta da verificare.
Molte categorie di persone, infatti, a discrezione delle autorità,
avranno bisogno di un’autorizzazione speciale. Medici, militari,
scienziati, atleti, specialisti in attività nevralgiche eccetera
probabilmente non potranno partire. Il governo cubano dichiara di
volersi così proteggere dal “furto di talenti” da parte delle economie
dominanti, nonché dai “piani di ingerenza e sovversione del governo
statunitense e i suoi alleati”.
Ad esempio, il filtro dei servizi di sicurezza bloccherà certamente i dissidenti.
E poi: per uscire dall’isola basterà davvero il passaporto? I
cubani dovranno innanzitutto poter disporre di risorse per viaggiare,
oltre che di qualcuno che li accolga. E avranno comunque bisogno dei
visti d’ingresso dei paesi dove si recano. Nessun problema per buona
parte dell’America Latina, soprattutto per quegli Stati particolarmente
amici come Venezuela, Bolivia o Ecuador. Ma l’Europa, ad esempio,
rimarrà restrittiva e difficilmente emetterà molti più visti.
La vera questione sono però gli Stati Uniti, dove esiste una grande e influente colonia cubana.
Come verranno recepiti i viaggiatori cubani, giacché il Cuban
Adjustment Act del 1966 continua a privilegiare i rifugiati provenienti
dall’isola? L’ipotesi di un’ondata di migrazioni verso la Florida non si
può scartare, vista la spossatezza della società cubana.
Quel che accade a Cuba ha molto spesso una valenza di politica estera e va messo in rapporto con la situazione mondiale. Un annuncio come questo viene fatto dopo la vittoria elettorale dell’irrinunciabile alleato Hugo Chávez,
che ha ridato respiro a Castro. Ma arriva anche in piena campagna
elettorale statunitense, come scelta unilaterale (è infatti improbabile
che la commissione migratoria bilaterale sia andata avanti in segreto su
questi temi), dalle conseguenze imprecisabili.
Infine, i più maliziosi sottolineano la coincidenza
con un momento in cui l’attenzione internazionale era rivolta al caso di
Ángel Carromero, militante del Partido Popular spagnolo appena
condannato a 4 anni per l’incidente d’auto
in cui ha perso la vita il leader oppositore Oswaldo Payá. Le
circostanze non risultano chiare e al processo non sono stati ammessi né
la famiglia di Payá né la nota giornalista indipendente Yoani Sánchez.
Insieme al forte sollievo per questo riconoscimento,
sia pure parziale, di uno di quei diritti elementari che il regime ha a
lungo negato ai cittadini cubani, c’è dunque ancora cautela, sia
nell’isola che nella diaspora, sull’effettiva libertà di viaggiare, un
bene preziosissimo a qualunque latitudine.
di Danilo Manera
16 ottobre 2012
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